5000 morti nel Nagorno-Karabakh

DI YURII COLOMBO

La tragedia sono le persone stanno morendo. Ci sono moltissime perdite in questa guerra. Secondo i dati che la Russia ha a disposizione, da entrambe le parti ci sarebbero oltre duemila morti. Il bilancio delle vittime totale si sta già avvicinando a cinquemila”. Intervenendo alla conferenza di Valday l’altro ieri, Vladimir Putin ha fatto una prima valutazione, superpartes, delle vittime della guerra nel Nargorno-Karabakh, esplosa drammaticamente il 27 settembre tra Armenia e Azerbaigian.

Secondo le fonti dei servizi segreti russi, le vittime civili sarebbero almeno la metà del totale, mentre i feriti e mutilati sarebbero nell’ordine delle decine di migliaia.

L’obiettivo dell’esercito azero sarebbe quello da una parte di occupare stabilmente i corridoi tra Armenia e l’enclave a etnia armena e, attraverso costanti bombardamenti su Stepanenkert e le altre cittadine della regione, accelerare l’esodo della popolazione armena. Nikol Pashynian, il premier armeno, è da giorni sugli scudi e la sua posizione tradisce incertezza.

Due giorni fa aveva chiamato alla resistenza partigiana del suo popolo. “Ogni armeno si prepari in armi a difendere la propria patria” aveva affermato in Tv. A Mosca non hanno gradito e ieri ha dichiarato solennemente di “essere favorevole allo schieramento di una forza d’interposizione russa sotto gli auspici dell’Onu”. Si tratta della proposta di Sergey Lavov fatta una settimana fa ma rigettata senza troppi complimenti dal governo turco. L’idea di Mosca era quella di giocare nell’evidente muro contro muro tra Francia e Turchia, per diventare ancora una volta uno dei pivot della crisi come in Libia. Ma in questo caso sembra che Erdogan voglia prendersi l’intera posta concedendo solo una “chip” a Putin. “Apprezziamo lo sforzo diplomatico russo ma per noi la questione è chiara: il Nagorno-Karabakh deve tornare ad essere azero” ha dichiarato il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu.

Apparso su Il Manifesto il 24 ottobre 2020