Intervista esclusiva a Boris Kagarlickij

Dal nostro corrispondente a Mosca

Boris Kagarlickij ha 65 anni e vive a Mosca. Già dissidente e imprigionato negli anni dell’Unione Sovietica, ha continuato ad essere attivo nella sinistra socialista e democratica russa. Oltre a scrivere moltissimi saggi, alcuni dei quali tradotti in Occidente, insegna alla Scuola di Scienze Sociali ed Economiche di Mosca e all’Istituto di Sociologia dell’Accademia delle Scienze russa.

Professor Kagarlickij, quanto è avvenuto lo scorso week-end in Russia era prevedibile?

Che la minaccia più terribile per l’attuale regime potesse essere una rivolta di “lealisti” io l’ho sostenuto, ma non solo io, già in primavera. Anche il tentativo di colpo di Stato contro Gorbaciov nell’agosto del 1991 non fu organizzato dagli oppositori del potere, ma dai suoi sostenitori, indignati dall’impotenza e dall’inefficienza della leadership dell’URSS. Non intendevano rovesciare Gorbaciov, ma far crollare il suo potere. Si tratta ormai di qualcosa che ciclicamente si ripete. Gli uomini di Prigozhin avrebbero potuto raggiungere Mosca e perfino occupare il Cremlino, ma non avevano nessuna seria prospettiva. Mussolini era già un politico influente (e soprattutto esperto) prima della marcia su Roma. Prigozhin è un signore della guerra con precedenti penali. I tecnocrati in politica e gli addetti alle pubbliche relazioni possono giocare con le parole quanto vogliono, ma qui non servono parole, bensì fatti, soluzioni pratiche. Cosa fare per il conflitto ucraino, per le sanzioni, per l’economia? Nessuno ne ha la minima idea. A differenza del Re d’Italia, che si ritirò, Putin, dopo qualche esitazione, si è opposto ai wagneriani, dichiarandoli traditori. L’insurrezione era quindi politicamente condannata, indipendentemente dall’evoluzione della situazione militare. Al di là dal destino di Prigozhin, stiamo assistendo al crollo del regime di Putin. Sarà sostituito da una versione russa di giunta militare, che tuttavia dovrà affrontare i problemi accumulati dal Paese e iniziare a cambiare le cose. Ma purtroppo la questione della pace e della trasformazione sociale in Russia rimane oggettivamente in ritardo.

Ma non era veramente possibile un accordo tra Prigozhin e Putin?

L’accordo c’è stato alla fine. Dopotutto, non c’erano e non ci sono differenze politiche fondamentali tra i rivoltosi e le autorità, rappresentano due fazioni della stessa classe, di una semplice comunità che ha controllato il Paese come se fosse cosa loro e lo ha portato allo stato attuale. È interessante notare che la base sociale di entrambe le parti in conflitto è estremamente limitata. Certo, c’è chi dice “Prigozhin verrà e metterà le cose a posto” e chi invita a stringersi attorno al presidente, ma la maggior parte della gente è profondamente indifferente a tutto questo.

La questione principale di cui tutti discutono ora è: di che cosa siamo stati testimoni in questi giorni? Com’è possibile che si verifichi una ribellione, che i suoi leader siano dichiarati criminali dal presidente e poi ci si disperda amichevolmente, come se nulla fosse accaduto?

Questo avviene normalmente tra i gruppi mafiosi quando si ridistribuiscono il mercato. Ecco la conclusione principale che si può trarre degli eventi degli ultimi giorni. Non esiste uno Stato, ci sono fazioni che controllano il territorio, e che hanno sottomesso il resto delle istituzioni statali.

Prigozhin non poteva vincere, ma forse poteva negoziare qualcosa di più?

Rimane un mistero: cosa lo ha spinto a tornare indietro nel momento in cui si trovava letteralmente alle porte di Mosca e aveva percorso centinaia di chilometri senza incontrare alcuna resistenza? Anche dal punto di vista negoziale, stare alle mura del Cremlino sarebbe stato più vantaggioso. Invece il capo della Wagner ha sacrificato i suoi successi, l’appoggio dei suoi sostenitori e, tra l’altro, le sue strutture mediatiche, ormai completamente screditate, costrette al silenzio o a un brusco arretramento, senza nemmeno una spiegazione coerente dell’accaduto. Ovviamente, Prigozhin è stato semplicemente comprato. E data la portata degli eventi, non stiamo parlando di tanti soldi ma di somme astronomiche. Qualcosa che può avere a che vedere con gli interessi russi in Africa, qualcosa che Prigozhion conosce bene visto i suoi trascorsi in quel continente.

Cosa sta avvenendo quindi in profondità, nell’ élite russa?

Non solo i capi del potere russo sono completamente in confusione. Putin ha fatto il suo primo discorso e poi è scomparso, riapparendo solo dopo un paio di giorni, così come il ministro della difesa, Shoigu, e il capo di Stato Maggiore, Gerasimov. Dove erano finiti? In realtà nessuno ci sta raccontando quale è stata la vera storia di questi giorni. Quindi non siamo ancora alla fine di questa tragedia. Sta ancora succedendo qualcosa. E molti stanno zitti perché non sanno come finirà, chi vincerà e cosa succederà poi. Io penso che un ruolo importante lo stiano giocando ora i servizi segreti russi, il FSB. Stanno zitti anche loro, ovviamente, ma hanno iniziato ad agire. Sono loro che hanno stipulato l’accordo con Prigozhin, e non il presidente bielorusso Lukashenko, che è venuto poi. Tutti stanno zitti ma intanto l’Fsb sta manovrando.

Come ha percepito il popolo russo quanto è successo nell’ultimo week-end?

In linea di massima come uno spettacolo. A Rostov sul Don le lezioni di scuola sono state cancellate e le insegnanti si sono messe il vestito della festa per andare a fotografarsi accanto ai carri armati. I ragazzi si facevano i selfie con i mercenari di Prigozhin. Nessuno ha preso la cosa seriamente. Ancor più interessante è che nessuno è sceso in piazza per sostenere Putin. Dopo che ha parlato alla nazione e ha detto che era in corso un colpo di Stato contro di lui, nessuno ha pensato di mobilitarsi. Di fronte a una minaccia contro lo Stato nessuno e in nessuna città ha pensato di scendere in piazza. Nessuna manifestazione, nessun ha difeso lo Stato! Lo ha sostenuto solo la burocrazia e neppure tutta la burocrazia. Ma nessuno al contempo ha sostenuto neppure Prigozhin e la Wagner. C’è stata solo una manifestazione in suo supporto a Rostov. Di 200 persone. Né Putin né Prigozhin sono stati sostenuti a livello popolare. Il popolo ha vissuto la cosa come qualcosa di estraneo, una lotta di potere sulla sua testa. La gente osservava e aspettava di vedere chi avrebbe vinto.

Recentemente è stato pubblicato l’ultimo saggio di Boris Kagarlickij “L’Impero della periferia”, una storia critica della Russia dagli esordi di Putin.
Nell’immagine: Boris Kagarlickij