È passato un anno dall’inizio delle grandi manifestazioni contro il regime bielorusso. Lo scorso 9 agosto dopo che venne proclamato l’ennesimo trionfo elettorale di “Batko”, Paparino, Lukashenko con l’80,1% del suffragi, centinaia di migliaia di bielorussi scesero in piazza contro i brogli che gli avevano garantito una facile vittoria.
Fu una mobilitazione che durò dei mesi e scosse fino alle fondamenta un sistema e un presidente che sembravano inamovibili. Nell’anniversario di quelle giornate è lo stesso Lukashenko ad annunciare (senza troppa convinzione) che presto lascerà la carica di presidente della Bielorussia. “Non c’è bisogno di indovinare quando Lukashenko se ne andrà e così via. Molto presto!” ha gigioneggiato il presidente bielorusso in carica.
Lukashenko ha anche aggiunto che la cosa più difficile per lui è la questione del suo successore. “Chi sceglierà il popolo bielorusso sarà il presidente. Così sarà. Per chi voterà il popolo. Quale posizione prenderò in questo caso – non l’ho ancora deciso. Onestamente, ci penso, è naturale. Questa non è una posizione eterna”. Naturalmente ciò che egli auspica e che a questo punto vuole anche il Cremlino che lo ha sostenuto con tutte le sue forze nei mesi in cui il suo potere stava barcollando, è una “transizione di velluto” sullo stile di quanto è avvenuto in Kazachstan dove l’arrivo al potere di Qasym-Jomart Qemelevič Toqaev ha garantito che il padre-padrone Nursultan Nazarbaev potesse ritirarsi in pensione ma continuando però a sovraintendere la cosa pubblica del paese.
Il presidente bielorusso si è anche premurato di affermare ch non stava preparando ad essere a essere i suoi successori. Forse però dovra essere un successore che gli garantisca l’immunità anche dopo che sarà uscito di scena. “Non avrà una vita tranquilla fino alla morte” ha concluso il presidente bielorusso con un po’ di vittimismo.
In un anno la situazione del paese è continuata a peggiorare. La sua elezione non è stata riconosciute da nessun paese occidentale e Lukashenko si è dovuto accontentare della benedizione di Cina, Venezuela e Corea del Nord oltre che ovviamente della Federazione Russa. Da allora giacciono in prigione oltre 600 persone per motivi politici, tra cui 26 giornalisti e nella classifica della libertà di stampa il paese occupa un disastroso 158esimo posto.
A causa delle sanzioni il paese ha perso 2,9 miliardi di dollari pari al 2,9% del Prodotto Interno Lordo e se il corso del rublo bielorusso è rimasto più o meno stabile, ciò è stato possibile solo grazie alla riduzione delle risorse in valuta forte passate dai 9,39 miliardi di dollari del gennaio 2020 ai 7,28 miliardi del maggio 2021.
Anche il debito con estero (in primo luogo con la Russia) ha raggiunto il 70,2% in relazione al Pil del 2020, un record assoluto per il paese slavo. E oltre 40 mila persone hanno anche votato con i piedi emigrando negli Stati europei confinanti, in primo luogo in Polonia, Lettonia e Lituania.