A un anno dalle grandi manifestazioni in Bielorussia: Lukashenko promette che (forse) se ne andrà

È passato un anno dall’inizio delle grandi manifestazioni contro il regime bielorusso. Lo scorso 9 agosto dopo che venne proclamato l’ennesimo trionfo elettorale di “Batko”, Paparino, Lukashenko con l’80,1% del suffragi, centinaia di migliaia di bielorussi scesero in piazza contro i brogli che gli avevano garantito una facile vittoria.

Qasym-Jomart Qemelevič Toqaev ha garantito che il padre-padrone Nursultan Nazarbaev potesse ritirarsi in pensione ma continuando però a sovraintendere la cosa pubblica del paese.

In un anno la situazione del paese è continuata a peggiorare. La sua elezione non è stata riconosciute da nessun paese occidentale e Lukashenko si è dovuto accontentare della benedizione di Cina, Venezuela e Corea del Nord oltre che ovviamente della Federazione Russa. Da allora giacciono in prigione oltre 600 persone per motivi politici, tra cui 26 giornalisti e nella classifica della libertà di stampa il paese occupa un disastroso 158esimo posto.

A causa delle sanzioni il paese ha perso 2,9 miliardi di dollari pari al 2,9% del Prodotto Interno Lordo e se il corso del rublo bielorusso è rimasto più o meno stabile, ciò è stato possibile solo grazie alla riduzione delle risorse in valuta forte passate dai 9,39 miliardi di dollari del gennaio 2020 ai 7,28 miliardi del maggio 2021.

Anche il debito con estero (in primo luogo con la Russia) ha raggiunto il 70,2% in relazione al Pil del 2020, un record assoluto per il paese slavo. E oltre 40 mila persone hanno anche votato con i piedi emigrando negli Stati europei confinanti, in primo luogo in Polonia, Lettonia e Lituania.