DI YURII COLOMBO
Ingiustizia è fatta. Ieri il tribunale di Milano ha assolto “perché il fatto non sussiste” ribaltando il verdetto del tribunale di Pavia che in primo grado aveva condannato Vitaly Markyv 24 anni, un neofascista già membro della Nazguard Guard ucraina, per omicidio volontario del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e dell’attivista russo dei diritti civili Andrey Mironov. Il collegio di giudici togati e popolari presieduto da Giovanna Ichino ha anche ordinato l’immediata liberazione dell’imputato detenuto permettendo così che Markyv potesse abbandonare immediatamente l’Italia ed possa eventualmente diventare uccel di bosco in caso che il ricorso in Cassazione conducesse alla sua definitiva condanna. L’avventuriero infatti con perfetto timing subito dopo la sentenza è stato preso in consegna dal ministro degli interni ucraino Arsen Avakov, noto per i suoi stretti rapporti con gruppi neonazisti come il Battaglione Azov e Pravy Sektor, che lo ha fatto decollare con un aereo di Stato per Kiev. Qui all’aeroporto, dopo essere stato accolto con picchetto d’onore e inno nazionale come se si trattasse di un eroe, Markyv è stato portato a colloquiare con il presidente Volodomyr Zelensky. “Vedremo le motivazioni della sentenza e il da farsi, continuiamo a ritenere corretta la ricostruzione del Tribunale di Pavia e della Procura generale di Milano, a loro e a nostri avvocati va la nostra riconoscenza” ha dichiarato affranta la madre di Rocchelli, mentre gli attivisti della Rete antifascista di Pavia hanno tenuto ieri in serata un presidio di protesta.
Alla liberazione di Markyv si è giunti dopo una fortissima pressione diplomatica da parte del governo di Kiev spalleggiato dai radicali ma anche da settori del Partito democratico che sembrano aver fatto della russofobia uno dei motivi della propria esistenza politica.
Facendosi beffa del protocollo, Zelensky nel suo incontro a Roma con Giuseppe Conte dello scorso 7 febbraio aveva sollevato il “caso Markyv”, giungendo persino a dichiarare in conferenza stampa di comprendere “che il primo ministro italiano non possa influenzare i tribunali in Italia. Ma ho mostrato in dettaglio cosa è successo lì, quanto era lontano dal luogo dell’omicidio. E che dobbiamo riprenderci il ragazzo”. Veniva coinvolto anche il Vaticano: in una telefonata del 5 giugno di quest’anno Zelensky chiedeva intercessione a Papa Francesco per “risolvere il caso”. Una fitta trama di contatti per giungere all’obbiettivo di “liberare il soldato Markyv” che trovava suggello nello spostamento della sede del processo di appello da Pavia a Milano.
Ma se Andy, come veniva chiamato dagli amici Rocchelli, forse non potrà più avere giustizia su questa terra dove troppo spesso la ragione di Stato prevale sul diritto, questo non vuole dire che la verità non potrà continuare a farsi largo.
Andrea aveva quel fuoco dentro che lo aveva già spinto in Africa e in Asia Centrale, a raccontare la storia in diretta, attraverso la propria sensibilità e il proprio teleobiettivo. Per questo si era avventurato in Ucraina a inizio maggio 2014, nella zona di Donetsk, per raccontare l’insurrezione della locale popolazione filorussa seguito all’insurrezione di massa reazionaria della Maidan del febbraio precedente. Il 24 maggio del 2014, Andrea Rocchelli e l’attivista dei diritti umani Andrey Mironov che gli faceva da traduttore, furono uccisi nei pressi di Slovyansk a causa di colpi di mortaio sparati contro l’auto su cui viaggiavano. Un altro fotoreporter, il francese William Rougelon, se la cavò con alcune ferite. L’inchiesta della procura ucraina fu sbrigativa e si concluse ben presto con un nulla di fatto. I magistrati ucraini, cinicamente, parlarono di morte sopraggiunta per “effetti collaterali della guerra”. La stessa inchiesta italiana si arenò ben presto. Tuttavia grazie alla straordinaria tenacia dei genitori di Rocchelli, Elisa e Rino, e della loro avvocatessa Alessandra Ballerini (già avvocato dei familiari di Giulio Regeni) nel 2017 l’inchiesta fu riaperta. La svolta furono le immagini ritrovate nella macchina fotografica di Andrea, quelle di archivio della TV russa RT News.
Si poté così ricostruire nel dettaglio gli avvenimenti: Rocchelli e Mironov furono uccisi deliberatamente perché il fotoreporter stava fotografando un treno custodito dalla truppe regolari ucraine. A questo punto le indagini si spostano in Italia dove a Bologna venne arrestato Markyv accusato di essere stato colui che aveva materialmente colpito l’auto di Rocchelli.
Oxana Chelysheva, attivista dei diritti civili di origine russa e amica di Anna Politkovskaya, malgrado sia una oppositrice del governo di Putin, partecipò e testimoniò al processo Rocchelli, convinta la che la verità non debba avere nazione o ideologia. “L’intera costruzione dell’accusa, almeno per le udienze a cui partecipai fu più che convincente e supportata da evidenze. La posizione della difesa fu al contrario molto debole: durante l’arringa continuò a sostenere per tutto il tempo che Markyv era solo un povero soldato, che non avrebbe mai potuto uccidere un giornalista, che non c’era artiglieria sul luogo degli eventi. Ma venne soprattutto in modo evidente a galla nel processo che i colpi erano stati sparati da reparti dell’esercito ucraino” sostiene Oxana. Alla quale però tuttavia ora le preme ricordare, soprattutto il grande cuore di Rocchelli: “Quando mi recai anni dopo al paesino di Slovyansk dove Andy e Andrey erano stati uccisi, la signora che li ospitò negli ultimi giorni prima della tragedia mi disse: “Rocchelli e Mironov ci confortavano mentre subivamo l’assedio: “Non vi lasceremo soli, vi salveremo”. Non erano solo lì per le foto, ma anche per cercare di salvare dei civili inermi”. E forse proprio per questo vennero uccisi senza pietà.