In Russia stanno tornando i Gulag?






In Russia la riduzione significativa di lavoratori migranti ha rilanciato il tema dell’uso di detenuti nello sviluppo dell’economia nazionale al punto tale da far parlare agli attivisti dei diritti umani di rilancio del lavoro forzato, se non addirittura di Gulag, i campi di lavoro staliniani in cui furono rinchiuse e morirono milioni di persone. Tuttavia i dirigenti delle strutture nazionali penitenziarie negano la volontà di costruire lager e sostengono che all’interno di tali strutture (in parte già operanti) i diritti fondamentali delle persone detenute sarebbe rispettati.

È da qualche mese che si sta ormai discutendo di tale ipotesi, da quando molte opere immobiliari non sono state portate a termine a Mosca principalmente, dopo l’inizio della pandemia a causa della mancanza di manodopera migrante che notoriamente costa assai meno di quella locale, ben poco disposta a lavorare per bassi salari nei cantieri.

La dinamica del restringimento significativo di forza-lavoro straniera nella Federazione è stata confermata dai dati pubblicati da Kommersant, che cita in un articolo del 2 giugno scorso, il monitoraggio dell’Istituto Gaidar sul tema. “Se nel 2019 nella Federazione Russa c’erano, a seconda del mese, da 9,6 milioni a 11,2 milioni di stranieri, nel 2020 il loro numero è sceso da 10,3 milioni a fine gennaio a 7,1 milioni a fine anno” si sostiene nell’articolo. Nel 2021 il calo sarebbe proseguito: dal 1° maggio il numero di cittadini stranieri nel Paese ammontava solo a 5 milioni 660 mila persone. Si è contratto il numero di cittadini provenienti da Ucraina e Moldavia, rispettivamente del 53% e del 51%, ma anche di quelli provenienti dal Kirghizistan (18%), dall’Armenia (22%) e del Tagikistan (35%). Per questo gli imprenditori si sono rivolti al governo e al Sistema penitenziario per ovviare al problema con l’uso di detenuti nelle fabbriche e nei cantieri. Tale possibilità è già realtà dal 2017 quando tali “centri di correzione” comparvero territori di Stavropol e Primorsky, nonché nelle regioni di Tambov e Tyumen.

L’elenco di tali luoghi di detenzione è pubblicato sul sito web del sistema penitenziario russo e sarebbero 108 in totale: 26 centri di correzione per lavoro forzato e 82 sezioni isolate in una colonia ordinaria, che funzionano però come centri di correzione. Già in questo momento più di 6.500 detenuti starebbero scontando la pena “nei centri correzionali” dove il lavoro è obbligatorio. Complessivamente in Russia ci sarebbero già 106 colonie-insediamenti di tale tipo.

Alla fine di marzo, il ministro della Giustizia Konstantin Chuichenko ha annunciato l’intenzione del dipartimento di ridurre significativamente il numero di prigionieri nelle colonie “tradizionali”, dagli attuali 480mila a 250-300mila persone entro il 2030. Si presume che una riduzione così importante sarà ottenuta trasferendo proprio una parte significativa dei detenuti in tali centri correzionali.

“Entro il 2024, nei centri di correzione e nelle aree isolate che funzionano come centri di correzione, è necessario moltiplicare il numero di posti per i detenuti ai lavori forzati ed entro il 2030 per soddisfare pienamente le esigenze esistenti”, ha affermato Chuichenko.

Alexander Kalashnikov, direttore del Servizio penitenziario federale, sostiene che si sta anche valutando la possibilità di creare un centro di correzione in Siberia, che si occuperà del ripristino delle foreste distrutte dagli incendi. “Speriamo di creare un centro di correzione, aree di correzione che, con l’aiuto di nuove tecnologie, renderebbero possibile coltivare piante in tutte le regioni della Siberia”, ha affermato il capo del Servizio penitenziario federale.

Kalashnikov ha anche riconosciuto che lo sviluppo a livello generalizzato del lavoro forzato è necessitato dalla riduzione del numero di migranti ma ha però respinto ogni confronto con il Gulag degli anni ’30. “Questo non sarà un Gulag e ai detenuti saranno saranno condizioni assolutamente nuove e degne”, ha ribadito il funzionario.

Tali centri penitenziari sarebbero invece “ostelli speciali” in cui i detenuti potranno comunque vedere le loro famiglie (o in alcuni casi vivere con le loro famiglie) e lavorare. Tali “ostelli” possono essere però situati sul territorio dell’impresa in cui lavorano i detenuti.

I detenuti, mentre si trovano in tali centri correzionali, con il permesso dell’amministrazione, potranno andare nei negozi,farsi visitare da medici e ricevere cure al di fuori degli ospedali carcerari.

Il regime di controllo sebbene anche più morbido che nella vera e propria prigione anche se non sarà possibile lasciare il territorio del centro correzionale senza il permesso della sua amministrazione. Un condannato per il suo lavoro percepirà uno stipendio, ma in una misura che va dal 5 al 20% verrà trattenuto a favore dello Stato. Inoltre, dal salario vengono detratte le spese del dormitorio e delle utenze.

Tuttavia lo Stato non garantirà a né cibo né vestiti e tali costi dovrebbero essere a carico del datore di lavoro. I detenuti potranno tenere in tasca e soldi e potranno usare il cellulare ed eventualmente il computer. Niente Gulag quindi anzi secondo il governo russo che parla di un “sistema di alternativo di detenzione, di “umanizzazione del sistema”.

Secondo l’ex ministro della Giustizia, Alexander Konovalov, la creazione di centri di correzione aiuterebbe addirittura a “minimizzare le conseguenze negative associate al completo isolamento dalla società”.

Tutto bene dunque? Non proprio. Per Vladimir Rozanskij che scrive per asianews.it questi centri correzionali sarebbero assai simili ai lager staliniani. “Già a partire dal prossimo mese di giugno, un gruppo di circa 600 detenuti dei lager verrà utilizzato per stendere i binari della tratta tra il lago Bajkal e il fiume Amur in Siberia” un sistema di trasferimento forzato dei detenuti che ricorderebbe da vicino i sistemi usati in Urss per un ventennio, fino almeno al 1953.

Inoltre secondo i difensori dei diritti umani, il problema è che la soluzione di molte questioni relative al regime interno dei “centri correzionali” verranno lasciate alla discrezione dell’amministrazione dell’istituzione carceraria. Infine, gli attivisti per i diritti umani osservano che tali detenuti ricevono spesso stipendi molto bassi, molte volte inferiori a quelli che ricevono i lavoratori migranti per lo stesso lavoro.

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