Il problema della discriminazione e dell’oppressione etnica da parte del colonizzatore o della nazione “dominante” è sempre stato al centro delle teorie egualitarie. Tuttavia, nei movimenti di sinistra contemporanei l’enfasi sull’identità etnica sembra spesso in contrasto con i principi dell’internazionalismo. In questa intervista con Javid Mammadov, attivista di Alternativa Socialista (formazione trotskista russa) e psicologo clinico, attualmente in attesa di processo per internazionalismo con il rischio di essere condannato a una pena tra I 5 e 10 anni di reclusione, cerchiamo di rispondere alla domanda: la sinistra libertaria può cogliersi solo come parte del proletariato globale, ma anche come sostenitrice delle minoranze locali.
D: L’appartenenza a un’identità è una scelta volontaria o una dipendenza, come per qualsiasi altra affiliazione? Cosa significa per te essere portatore di identità, essere diversa da quella degli altri?
R: In generale, sono un internazionalista di sinistra. E sono abituato a mettere la mia identità rivoluzionaria al primo posto. Ma se vedo il modo in cui vivo, al modo in cui percepisco il mondo, a ciò che faccio e a come lo faccio, l’influenza della mia identità etnica in tutto ciò aha un peso. Sono azero, ma preferisco definirmi caucasico, proveniente da una regione di piccole nazioni. Tra l’altro, devo anche il mio internazionalismo di sinistra alle mie origini. Quando ero un adolescente, spesso dovevo affrontare le burle per il fatto di essere “non russo”, venivo ricoperto da battute del tutto stupide. A volte si arrivava a litigare. Per questo ho imparato a stare sempre in guardia, a farmi valere. Riflettevo molto sul perché fossi un’estraneo per loro e sul perché stessero cercando in tutti i modi di farmelo capire. A ciò si è aggiunto il fatto che, come la maggior parte dei ragazzi caucasici giunti in Russia nei primi anni 2000, sono cresciuto in una famiglia povera e ho dovuto affrontare ogni tipo di privazione, compresa la mancanza di sicurezza. È così che sono arrivato alle idee di sinistra. Penso che spieghino molto accuratamente che il nazionalismo e la disuguaglianza sociale sono molto simili e ugualmente inaccettabili.
D: Proviamo a tornare all’inizio. Quando si è sentito per la prima volta un “estraneo”?
R: Non ricordo il momento esatto in cui è iniziato. È iniziato una decina di anni fa, Il nazionalismo era un fenomeno abbastanza comune nella vita quotidiana. La scuola non ha fatto eccezione. I compagni di classe andavano spesso alle marce russe, facendo brillare le loro sciarpe imperiali… Nel villaggio in cui sono cresciuto, c’erano armeni, georgiani, azeri, e tutti erano ugualmente oppressi dalla popolazione “dominante”, sceglievano una vittima tra loro e la deridevano apertamente. Venivano fatti scherzi di cattivo gusto, venivano mutilati i nomi, e tutto questo ogni giorno, sistematicamente, e nessuno si divertiva affatto, ma era come se fosse una specie di rituale. Naturalmente questo provocava risse e di solito venivo lasciato solo contro i bulli. E nessuno se ne preoccupava, nessuno reagiva in alcun modo, tranne coloro che erano anch’essi sotto pressione. Ricordo che nella nostra classe c’era un ragazzo molto intelligente che veniva bullizzato perché non era abbastanza virile. I ragazzi come lui erano i più comprensivi, a volte solidali, ma non prendevano le difese.
D: Ma roviamo a scavare nella mitologia neoliberale: nella scuola, nel’amministrazione, gli insegnanti, hanno forse agito come mediatori, o forse almeno cercato di agire come garanti della sicurezza di coloro di cui sono responsabili?
R: Non hanno nemmeno cercato di risolvere la questione, perché loro stessi simpatizzavano per il nazionalismo. Le guerre cecene hanno dato nuova lingfa a vecchie paure e stereotipi, che hanno cominciato a essere sostenuti dall’alto, ma in modo molto gentile e non radicale. Invece di organizzare l’educazione, di tenere le ore di lezione, di parlare con i singoli bambini, gli insegnanti potevano sostenere cose come “Il russo è ortodosso”, “La Russia è per i russi” e nella letteratura, negli studi sociali abbiamo passato in rassegna Ilyin e altri filosofi di estrema destra popolari tra I diirgenti dello Stato attuali. All’epoca ero musulmano, quindi quando si parlava della superiorità del popolo russo, come spesso accadeva, tutti mi guardavano come se fossi una pecora nera.
Mi sembra che si tratti di una sorta di colonialismo nazionale interno, dove c’è Mosca e ci sono tutti gli altri che devono essere adattarsi ad essa. il Caucaso, le regioni, non ha più importanza.
D: Ho il sospetto che tutti questi problemi non siano cos del passato. Se parliamo di oggi, dove si incontra più spesso il nazionalismo?
R: L’appartenenza a un movimento di sinistra ti allontana dal mondo delle molestie e di chi ti sta vicino, in una certa misura, ma ti rende anche vulnerabile alla macchina repressiva. Ogni interazione con la polizia è, per me, un potente ritorno agli anni Novanta. Quando le persone vengono fermate durante i picchetti o le manifestazioni, la prima cosa che chiedono è la nazionalità.
Di norma, i giovani della stessa età si affannano a cercare di fare i poliziotti, che per loro è un lavoro comune da fare per soldi. Questo non è il caso degli ufficiali più anziani, ideologizzati e putiniani. Adorano semplicemente ogni sorta di cose nazionaliste e chiedono deliberatamente più volte la mia nazionalità, come mi chiamo, da dove vengo, perché non sto sviluppando un movimento di opposizione nel mio Paese. E a loro non importa affatto che io viva in Russia da quando avevo tre anni, anzi, alla vista di una propiska di Kaluga iniziano a trattarmi con ancora più disprezzo. Mi sembra che si tratti di una sorta di colonialismo nazionale interno, in cui c’è Mosca e tutti gli altri, I quali si devono “inserire”, Caucaso, regioni, e non ha molta importanza. In questi casi, basta stringere i denti e fare finta di niente per non cedere alla provocazione. In caso contrario, la sanzione amministrativa potrebbe giungere presto. Anche se il fatto di essere arrestati amministrativamente è completamente una questione di capriccio.
E per giustificare gli attuali disastri agli occhi di chi li sta subendo , madri, padri, mogli, si è creata l’immagine di una guerra giusta, una crociata contro gli “impuri”, gli stranieri, i barbari, i selvaggi. E se non faranno parte della Russia, si uniranno all’America, o addirittura creeranno i propri Stati barbari
D: Cosa ne pensi, che sia sempre stato così? Oppure il nazionalismo russo è un prodotto di particolari periodi storici?
R: Ha molto a che fare con il periodo in cui si è formata la coscienza dei sostenitori del nazionalismo e della statualità. All’inizio degli anni ’90, il governo si è lasciato coinvolgere dalla retorica di estrema destra. Era in corso la guerra cecena e dovevano trovare un modo per tenere unite le repubbliche. I giovani coscritti venivano mandati lì, praticamente a morte certa. È interessante notare che, come le crociate medievali, quella guerra aveva interessi molto mercantili, mascherati da una missione sacra, e la sua propaganda distraeva la gente comune dal vero nemico interno – il potere, il capitale.
D: Questa crociata, in quale fase si trova ora? Oppure esiste solo un’immagine pseudo-eroica, che viene periodicamente utilizzata per unire la nazione?
R: È un processo ancora in corso, ma i suoi obiettivi sono cambiati qualitativamente. Il regime ha epurato i nazionalisti più radicali e gli altri sono emigrati in Ucraina e in altre zone calde. I nazionalisti più moderati sono andati nel Donbass per la pace russa – anch’essa una sorta di sciovinismo, ma senza tanto odio per le piccole nazioni, ma che prevede la consacrazione dei russi come nazione “dominante”. Di grande importanza è anche la Crimea, con la quale è iniziato un nuovo ciclo di nazionalismo civico e interno. E non ha riguardato solo i popoli “dominanti”, ma anche gli stessi piccoli popoli. Per esempio, i nonni della mia ragazza non cercano nemmeno di nascondere il loro sciovinismo, anche se sono originari dell’Altay. Mia nonna, tatara, mi chiama “khach”, “non russo”. Questo è tipico della vecchia generazione. Incontro i miei coetanei nazionalisti più spesso tra i “libertari2 e le varie destre “accademiche” come i duginisti, ma mi sembra che siano fortemente emarginati. In generale, l’habitat del nazionalismo russo contemporaneo è Internet, tutti i tipi di meme alt-right sub-pubbliche. E nonostante il fatto che tutto sia anonimo e che gli utenti si vergognino di dichiarare apertamente le loro opinioni, i loro numeri suscitano alcuni timori.
D: Ma comunque, obiettivamente, c’è il rischio che un giorno scendano tutti in strada, intraprendendo una sorta di de-anonimizzazione generale? Quale sarebbe il motivo?
R: Credo che i giovani in realtà stiano diventando più aperti, più internazionali. Poiché il nazionalismo è sempre più associato al regime, il regime sta diventando più internazionalista. In altri Paesi, vedono sempre più spesso una protesta civica contro la dittatura, la discriminazione, il basso tenore di vita, e si identificano con essa. Quindi non credo che il nazionalismo abbia molte possibilità oggi. Ma ora le ultime notizie dall’Ucraina danno l’impressione che le autorità ci stiano preparando alla guerra, quindi è molto probabile che nuovi investimenti nel nazionalismo, nella sua propaganda dall’alto, e non solo all’interno della Russia. L’odio, la religione, la propaganda delle differenze culturali costruiscono questa propaganda. In realtà, funziona nel modo più primitivo possibile: tutte le virtù del mondo, il coraggio, la lealtà e così via sono attribuite all’identità russa, mentre all’identità straniera sono attribuiti i vizi; come se l’appartenenza a questa o quella nazione definisse le qualità morali
D: Come si fa a resistere? E la struttura multietnica della Russia può aiutare in qualche modo?
R: Come ho detto, dobbiamo scambiare esperienze e imparare dai nostri compagni stranieri. Gli scozzesi, per quanto ne so, hanno una cellula internazionale che sostiene la conservazione della cultura e della lingua scozzese. Penso che questo nazionalismo progressivo delle piccole nazioni ci aiuterebbe. Dobbiamo anche educare e diffondere materiali che spieghino che il nazionalismo e lo sciovinismo sono vantaggiosi per il grande capitale. Questo spiegherà la necessità di una resistenza civile complessiva, la lotta per le garanzie sociali, l’aumento dei salari, idealmente la socializzazione dei mezzi di produzione e la nazionalizzazione del sottosuolo. Una lotta di questo tipo, mi sembra, avrebbe risonanza tra tutte le identità, perché tutte sono interessate a superare la xenofobia. Diciamo che quando si ha alle spalle una persona di cui prima non si apprezzava la nazionalità, la si guarda in modo diverso, si comincia a rispettare la sua visione del mondo e il suo modo di vivere.
E questo rende il mio modo di vivere molto diverso dal loro, il modo in cui costruisco i rapporti con le persone. Ma è proprio grazie a questa alterità, nei miei gusti musicali, nella mia vita quotidiana, nel mio comportamento sentimentale che sento sempre più di appartenere a questo mondo.
D: Conservare la propria identità etnica in un ambiente di colonizzazione esterna e interna è possibile?
R: La cultura dei popoli caucasici mi aiuta in ciò, anche le immagini più primitive ma positive dei film, della letteratura, della musica pop. Mi piace quando i generi moderni sono diluiti con motivi folk e nazionali. C’è un senso di appartenenza, un’affinità con la tradizione. Penso che i membri delle minoranze etniche siano più tradizionali in senso non patriarcale, più sensuali, sinceri, cosa che è difficile dire dei loro coetanei “occidentalizzati”. E questo rende il mio modo di vivere molto diverso da loro, il modo in cui costruisco le relazioni con le persone.