La dinamica delle proteste in Russia – Intervista ad Alexey Gusev

Intervista esclusiva di Yurii Colombo a Alexey Gusev.

Aleksey Gusev, 51 anni, insegna storia del movimenti sociali e dei partiti politici presso l’Università Lomanosov di Mosca. È autore di più di 80 pubblicazioni in Russia e all’estero sui problemi del movimento operaio e socialista e ha partecipato alla compilazione della Grande Enciclopedia Russa. Ha preso parte ai movimenti sociali durante la perestrojka su posizioni di sinistra sin dal 1988 e nel 1997 è stato il fondatore della Biblioteca Victor Serge a Mosca. A partire dal 2013 ha preso parte alla creazione del Sindacato interregionale degli insegnanti delle scuole superiori “Solidarietà Universitaria” e dal 2019 ha fatto parte del suo Comitato Esecutivo

Nelle recenti manifestazioni in Russia alla fine di gennaio e all’inizio di febbraio molti osservatori hanno fatto notare che la novità di questa nuova ondata di proteste è la presenza partecipazione massiccia di città della grande provincia russa, neppure solo quella siberiana. E si è sottolineato che tale dinamica sia il frutto non solo della rivendicazione della liberazione di Alexey Navalny ma soprattutto della crisi sociale ed economica che attraversa il Paese. Qual’è il suo punto di vista?

In generale queste mobilitazioni sono state molto più ampie di quelle dell’estate del 2019 e di quelle del 2011-2012 contro i brogli alle elezioni presidenziali. In quest’ultima occasione delle mobilitazioni ci furono anche in provincia ma in maniera assai più di ridotta di quanto abbiamo visto ora. La cosa interessante è che San Pietroburgo si è mobilitata in modo ancora più esteso di Mosca anche in termini assoluti malgrado la sua popolazione sia meno della metà di quella della capitale. Anche prima di queste manifestazioni abbiamo avuto dei forti segnali di insoddisfazioni con le proteste della scorsa estate a Khabarovsk che non era solo a sostegno del governatore della zona Sergy Furgal (il quale sicuramente non lo si può considerare né pulito né un grande democratico facendo parte del partito xenofobo di Vladimir Zirinovsky) ma la protesta era si è caratterizzata perlopiù contro il centralismo moscovita e per l’autodeterminazione della regione. C’eranostate anche grandi manifestazioni nelle zone di Archangelsk e Sytktyvar contro la discarica della spazzatura di Mosca. Naturalmente in questa nuova ondata hanno giocato fattori economico sociali. Nelle regioni russe profonde la situazione è assai peggiore di quella di Mosca. Nella capitale si concentra il sistema finanziario ed economico del paese e i salari e il tenore di vita in generale sono molti più alti che nel resto del paese.

Un altro elemento da tenere presente nelle mobilitazioni della provincia è che Navalny è riuscito in molte realtà a creare delle proprie strutture. Le sue sedi regionali hanno giocato un importante ruolo organizzativo. Nessuna delle organizzazione di opposizione del passato aveva una struttura locale così estesa. E va sottolineato che in queste realtà chi costruisce queste strutture non sono solo aderenti al partito di Navalny.

Quali strati sociali rappresenta Navalny?

La Russia dal punto di vista economico-sociale ha i caratteri della contemporaneità. Navalny rappresenta quegli strati che si oppongono alla élite dominante. Nella Russia di oggi l’élite dominante si raccoglie intorno alla burocrazia statale e agli imprenditori direttamente legati al Cremlino e oltre che a quegli strati legati all’“uso della forza” come le forze dell’ordine, l’esercito e i servizi segreti. Tutte le altre classi e strati si sentono oppressi, sentono crescere l’ineguaglianza sociale, sentono crescere attorno a sé la corruzione. Oggi la corruzione è molto più alta che negli anni ’90. Ma se guardiamo complessivamente alla composizione sociale di chi scende oggi in piazza si tratta in maggioranza di lavoratori salariati, quello che potremmo chiamare il proletariato del XXI secolo che non è più solo industriale. Inoltre sono presenti anche settori del piccolo business. Si tratta di una colazione sociale abbastanza ampia che non si trova a suo agio nella Russia di Putin.

Ma quali sono le posizioni politiche di Navalny, liberali?

Oggi lo scontro in Russia non è tra liberali e non liberali. Oggi lo scontro in Russia è tra i democratici e chi è contro la democrazia. Sotto l’ampio ombrello della richiesta di democrazia possono trovare post o i liberali, i socialisti e anche qualche settore che si definisce nazionalista. Tutta la gente che è interessata a un cambio politico radicale. Al fine di creare le condizioni in cui posizioni politiche diverse tra di loro per programmi economico-sociali possano liberamente concorrere quando ci sarà un sistema d’informazione realmente libero come anche di organizzazione politica e ovviamente delle elezioni libere.

Ci sono anche settori di liberali che oggi sostengono di fatto il regime come Yavlinsky di Yabloko. Non si tratta di una novità: durante la rivoluzione del 1905 il movimento Vechi e pseudo-marxisti come Petr Struve si opposero al movimento.

Per quanto riguarda le posizioni di Navalny, queste sono mutate nel tempo. Iniziò la sua carriera politica come rappresentante dei piccoli azionisti dei grandi gruppi economici come Gazprom per poi spostarsi su posizioni nazionaliste e partecipato alla Russky Marsch una manifestazione dell’estrema destra russa che si tiene ogni anno. Nel 2008 ebbe anche posizioni da imperialismo grande-russo durante la guerra con la Georgia. Ma negli ultimi anni le sue posizioni sono evolute e ora tiene in conto anche le problematiche sociali. Oggi potrei dire che le sue posizioni sono liberali di sinistra. Egli aveva preso le mosse dalla questione della corruzione, sostenendo che essa rappresentava una distorsione del sistema. Che il sistema di per sé andasse bene ma esistesse il problema dei corrotti. Ma ultimamente Navalny è giunto alla conclusione che non si tratta di una deformazione del sistema ma che il problema stia proprio nel sistema stesso, e ha iniziato a criticare del sistema dell’ineguaglianza. Il problema non è più che Putin si costruisca il suo “castello d’oro” ma del fatto che Putin e il piccolo gruppo intorno a lui controllano tutte le risorse del paese politiche ed economiche. Inoltre Navalny ha aiutato la creazione del sindacato dei medici diretto da Anastasia Vasileva che ora è agli arresti domiciliari e anche l’Unione degli insegnanti delle elementari. Questa evoluzione non è stata dovuta tanto alla sua riflessione personale quanto alla pressione che viene dal basso della società. La gente che sta in basso non è interessata allo stupido nazionalismo. Sa che il potere chi agita il nazionalismo ha già privatizzato e monopolizzato tutto.

Tuttavia ora Navalny dovrà passare come minimo 3 anni in prigione e il movimento anti-regime non potrà fermarsi né alle questioni della repressione né a quelli della corruzione. La lotta politica in Russia è sempre una lotta per il potere, gli spazi di mediazione riformistica sono sempre limitati, è un muro contro muro. In questo quadro la questione diventa quale tattica e strategia articolare.

Il limite per ora è che non esiste un orientamento politico chiaro. Non esiste una forza politica che possa unire il movimento attorno a una proposta realistica e concreta. Lo stesso gruppo dirigente di Navalny è direttamente dipendente dal leader, una struttura creata dall’alto che si arroga il diritto di parlare per tutti. Non esiste neppure un orientamento definito oltre alle generiche rivendicazioni democratiche. Diventa quindi importante a mio avviso costruire questa struttura politica perché l’esperienza delle rivoluzioni del XX secolo ci dicono che queste sono state vincenti questa è comparsa tale struttura capace di unificare diverse tendenze e organizzazioni anche sociali come i sindacati, ecc.

C’è la speranza che questa autorganizzazione si stia formando. Si stanno formando gruppi per il sostegno ai detenuti politici per esempio. Navalny propone anche la tattica elettorale del “voto intelligente” che prevede in certe circoscrizioni la possibilità di votare candidati del partito comunista e di altri partiti di opposizione parlamentare nelle prossime elezioni legislative che si terranno in autunno. Io ho dei dubbi che questa tattica sia potabile. Io penso che tutti i partiti che siedono in parlamento de facto non si distinguano dal partito di regime Russia Unita che del resto votano tutte le leggi proposte dal governo e inoltre, su alcuni temi hanno anche posizioni più di destra e più imperialiste di quelle dei putiniani.

Nelle ultime settimane abbiamo visto che il segretario del partito comunista di Mosca Rashkin ha preso sulle proteste posizioni assai diverse da quello del segretario nazionale Zyuganov. Pensi che sia una fronda reale perché in molte città di provincia i comunisti hanno partecipato in prima fila alle manifestazioni…

Rashkin ha sostenuto il diritto della gente a manifestare ma la posizione del partito ufficiale resta invariata. Zyuganov sostiene che si tratta di un movimento diretto dalle potenze occidentali e dagli Usa. Ci sono sicuramente in provincia dei comunisti che hanno posizioni diverse e anche radicali ma alle elezioni presenteranno solo candidati allineati. Se dovesse esserci una scissione allora certamente la situazione cambierebbe, ma per ora non si vede niente di tutto ciò all’orizzonte. Ripeto, la linea del “voto intelligente” mi sembra senza prospettive.

Sono punti di vista rispettabili. ovviamente. Il nostro sistema elettorale è misto e per cui il 50% dei deputati vengono eletti sulla base delle liste dei partiti ma il 50% è su base uninominale. Se dovrebbero esserci qui del candidati indipendenti, certamente andrebbero sostenuti. E la mobilitazione di protesta potrebbe seguire anche altri sentieri se a questi potenziali candidati indipendenti non fosse data la possibilità di partecipare come già è successo nell’estate nel 2019. Io credo che le proteste su questo terreno ci saranno e faranno fare un nuovo salto di qualità nella coscienza e nell’organizzazione di chi scende in piazza.

C’è anche il rischio, reale, che Putin a fronte di questa situazione risponda con delle avventure militari. Lo abbiamo già visto nel 2014 quando a fronte delle proteste di due anni prima il regime si gettò a corpo morto nel conflitto ucraino. Si tentò si spostare l’attenzione della gente verso la politica estera e questo spiega in parte anche l’intervento in Siria. Ciò aiutò il potere a superare la crisi, crebbe un’ondata di orgoglio nazionalista a fronte dell’annessione della Crimea (quella che chiamarono la “primavera russa”) che era già successo con lo zarismo all’inizio della Prima guerra mondiale. Ma l’euforia anche questa volta è durata poco. Ma allora è cominciata anche la crisi economica interna e il calo dei redditi della gente dopo la crescita del primo decennio del Duemila dovuta alla congiuntura favorevole dei prezzi delle materie. Le avventure militari in Ucraina e in Siria del resto costano tantissimo e molti russi riescono immediatamente collegare tutto ciò alle proprie misere condizioni.