La maionese impazzita a Erevan mette Mosca in fibrillazione






La crisi politica in Armenia dopo la débâcle militare nell’autunno scorso nel Nagorno-Karabakh, è ormai una maionese impazzita. Il primo ministro Nikol Pashinyan in carica che fino a ieri sosteneva l’inevitabilità della resa del 9 novembre che ha riportato sotto il controllo azero l’80% del territorio dell’enclave a maggioranza etnica armena e l’opposizione che da mesi batte il tamburo del tradimento e della capitolazione, si stanno confrontando in parlamento e nelle strade da mesi senza soluzione di continuità. A rinfocolare lo scontro politico, nella contingenza, è stato l’improvviso dimissionamento del capo di Stato maggiore Tiran Chacatryan e del suo vice da parte dell’esecutivo, per aver criticato l’affermazione di Pashinyan secondo cui i missili i russi a disposizione dell’esercito armeno sarebbero di scarsa qualità. In un’intervista al quotidiano locale 1in.am di tre giorni fa il primo ministro armeno aveva infatti affermato che i missili russi Iskander, presumibilmente utilizzati dalle truppe armene durante il conflitto dello scorso anno in Karabakh, erano di cattiva qualità ederano decollati solo nella misura del 10%” in quanto vecchi ormai di 40 anni.

Un siluro contro l’esercito ma soprattutto contro l’alleato russo che rifornisce contemporaneamente l’Azerbaigian di missili modello Smerc, Tocka U e Elbrus di nuova generazione.

Si è assistito così a un curioso scambio delle parti in cui è ora il governo ad attaccare Mosca abbandonando la linea tenuta fino ad ora secondo cui gli accordi di pace che hanno portato nel Nagorno 2500 caschi blu russi fossero stati una “triste necessità” assunta in coordinamento con il Cremlino.

L’imbarazzo a Mosca è stato palpabile. Il ministero della difesa russa ha escluso che gli Iskander siano stati utilizzati nel recente conflitto ma soprattutto la dichiarazione di Pashanyan in tutta evidenza per tempo studiata, segna un brusco cambio di rotta dell’ex attivista dei diritti civili che sta disorientando la diplomazia russa: l’eventuale fuoriuscita di Erevan dalla struttura difensiva del mini “Patto di Varsavia” di cui dispone la Russia sarebbe un nuovo pesante grattacapo per la tenuta del “Vicino estero” sulla dorsale occidentale.

Putin oltre alla crisi interna sta osservando impotente con la Moldavia ormai persa alla causa dopo la sconfitta nelle presidenziali d’autunno, l’incancrenirsi del gelo con Zelensky in Ucraina e la barcollante alleanza con Minsk, lo sbriciolarsi della sua linea del Piave in Europa. Ma il puzzle armeno non fa saltare dalla gioia neppure l’Unione Europea e gli Stati Uniti che nelle ultime ore stanno moltiplicando gli appelli alla calma. L’allontanamento dallo storico alleato sulla Moscova, getterebbe Erevan in una terra incognita di neutralità “attiva e operante” che rimescolerebbe i giochi in tutta l’area e renderebbe incerto tutto il Caucaso dove anche la Georgia è da tempo in ebollizione. All’Alleanza Atlantica, inoltre, certamente non può entusiasmare la possibilità che una Turchia riottosa ma ben salda dentro la Nato possa ancora, nella prossima fase, giocare di sponda con la Russia.

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