di MARCO MINOLETTI
Non bisogna giudicare gli uomini per le loro opinioni, ma per ciò che queste opinioni fanno di loro.
Georg Chistoph Lichtenberg, Osservazioni e pensieri
C’è qualcosa di irrazionale nel modo in cui l’apparato statale russo perseguita Alexey Navalny e i suoi sostenitori. I modi irrazionali di agire, sia nel microcosmo dell’individuo dal carattere autoritario che nel macrocosmo dei regimi non democratici e di ascendenza totalitaria, sono spesso il sintomo di paure inconsce sedimentate. Ma quali paure inconsce attanagliano nel piccolo la mente putiniana e nel grande l’apparato di regime? – Molto probabilmente la paura che l’immensa ondata di proteste che sta attraversando in questo periodo la Russia possa trasformarsi in un ciclone destinato a travolgere e spazzar via l’attuale regime.
Alla paura innescata dai recenti fatti si devono aggiungere le paure sedimentate a causa dei principali eventi storici avvenuti nel secolo scorso: il rovesciamento della monarchia per mezzo della rivoluzione di febbraio 1917 e il fallito tentativo di colpo di stato dei sostenitori della linea dura-e-pura marxista-leninista contro il riformista Michail Gorbacev nel 1991. Colpo di Stato che finì per accelerare il collasso dell’Unione Sovietica, declassandola al ruolo di semplice potenza regionale e di comprimaria nella scacchiera delle potenze capitalistico-mafiose che gestiscono gli affari del pianeta ad uso e consumo di pochi privilegiati.
Ma Putin è tutto fuorché un ingenuo. Dai Romanov e dal loro diretto discendente Stalin ha imparato un’infinità di cose: ha ulteriormente perfezionato i sistemi polizieschi, di spionaggio, controspionaggio e manipolazione inaugurati dalla Ceka nel ’17 ma ereditati dal sistema-Romanov; ha tentato di far risorgere l’Impero, tanto caro all’inconscio russo, invadendo l’Ucraina nel 2014 e annettendosi illegalmente la Crimea. Ed infine, in puro stile dittatoriale, ha fatto approvare un emendamento costituzionale che gli consente di rimanere presidente a vita. Un uomo così attaccato al potere temporale da utilizzare tutti i mezzi possibili pur di rimanere saldo al comando cos’ha da temere da un movimento di manifestanti da fine-settimana? Perché, a differenza dei metodi usati nel 2011-12 per contrastare i manifestanti scesi in piazza contro la sua terza elezione-farsa a Presidente, questa volta ci è andato giù con mano di ferro? Perché migliaia di contestatari sono stati selvaggiamente picchiati dalla polizia? Perché così tanti arresti?
Perché evidentemente Putin e i suoi sodali – a differenza delle pecorelle della sinistra nostrana, confuse e irritate dall’assenza di una linea-guida di stampo lenino-stalinista, che si sono messe a far le pulci al personaggio Navalny – hanno capito che questa volta a guidare la contestazione c’è un personaggio autorevole, carismatico e amato dal popolo. Certo, senz’ombra di dubbio Navalny era e resta un populista capace di svariate svolte, ma nulla toglie al fatto che abbia avuto un ruolo chiave nel fungere non solo da catalizzatore del dissenso ma anche da detonatore nel dare l’avvio alle proteste in ben più di cento città russe. Le sue opinioni politiche passano dunque in secondo piano rispetto al fatto che, oltre ad essere un perseguitato politico del regime putiniano, ha dimostrato di avere del fegato. Piaccia o meno, Navalny non è solo il paladino della lotta alla corruzione ma è anche un uomo coraggioso e conseguente. Dopo il fallito tentativo di eliminarlo con il novichok, l’agente nervino (che pare gli sia stato messo nelle mutande) utilizzato dal KGB, e una volta ripresosi grazie alle pronte cure berlinesi e alla forte tempra ha deciso, a metà di gennaio, di rientrare nella tana dell’orso e fronteggiarlo. Quanto all’orso, ricordo en passant, che ai giornalisti che lo accusavano di aver avvelenato il suo oppositore Navalny ha candidamente risposto che se veramente i servizi segreti avessero voluto ammazzarlo avrebbero “portato la questione fino in fondo”. Non è questa la risposta di un dittatore, che ammette quindi che in effetti i suoi servizi segreti ammazzano le persone?
Il regime, in preda ad un eccesso di irrazionalità, non solo ha arrestato migliaia di oppositori, picchiato a sangue giornalisti e semplici spettatori, ma ha anche bloccato le piattaforme dei social media con l’accusa di fomentare i disordini e ha dato il via, tramite i canali televisivi asserviti al regime, ad una campagna di diffamazione nei confronti di Navalny e dei suoi collaboratori. La chiusura del centro di Mosca e della metropolitana durante i fine-settimana è stata fatta ricadere sui ‘terroristi’ accusati di aver bloccato lo shopping e il consumo di merce ai bravi cittadini ossequiosi e rispettosi delle leggi di Stato. Navalny e i suoi sostenitori vengono presentati dai mezzi di propaganda di Stato come agenti al soldo di potenze straniere che cospirano con l’intento di destabilizzare la Russia. Conseguentemente Navalny viene trattato per quello che agli occhi del regime è: un nemico di Stato.
Le assurde udienze-farsa avviate dopo il rientro in Russia del “terrorista” Navalny ricordano vagamente i processi-spettacolo di Stalin negli anni ’30, con la cruciale differenza che Navalny non ammette i suoi “crimini”, non si pente e rilancia le sue accuse al regime. Putin ha dunque serie ragioni per essere preoccupato.
Navalny sta dando un contributo all’indebolimento della sua immagine anche agli occhi delle élite politiche e finanziarie del paese. Immagine che, a dirla tutta, aveva già iniziato a deteriorarsi con l’annessione della Crimea. Infatti le sanzioni occidentali che ne sono seguite hanno danneggiato i conti in Svizzera e interrotto l’acquisto di ville lungo le coste del Belpaese da parte di gregari politici e finanziari di Putin. Ora per il dittatore si sono aperti due fronti: interno ed esterno. Al momento Putin è ancora ben saldo al potere ma non è nemmeno da escludere che, prima o poi, resti vittima di una lenta congiura di palazzo. Alla lunga il suo destino pare segnato. Resta aperta la questione se sarà il popolo o il palazzo a rovesciarlo, mutatis mutande!