Yurii Colombo – Eppur si muove. A un anno dall’assalto imperialista in Ucraina






Un anno. Per chi scrive l’anno più lungo della sua vita. Un anno tra la Russia e l’Italia, passando per ragioni logistiche dall’Armenia e dal Kazakistan. Un anno in cui ho dovuto separarmi a lungo e nell’incertezza dalle persone a me più care russe e ucraine. Un anno di paura perché non ho smesso un solo giorno da Mosca a fare opera di controinformazione, spiegazione, analisi di questa guerra. Un anno di rabbia nel vedere quanti in Italia prendevano con la parola con presunta autorevolezza su paesi e realtà che non conoscono e che mi hanno fatto venire in mente le rime di Dylan “don’t criticize/What you can’t understand”. Un anno passato a girare per l’Italia in decine di inziative pubbliche, in un confronto serrato ma quasi mai volgare e superficiale.

A un anno dall’invasione russa alcune cose appiano chiare, altre restano confuse, complesse, aperte.

Il tentativo palesatosi sin dai primi giorni di Putin di annettersi l’Ucraina è fallito. Da questo punto di vista la sconfitta dell’ipotesi imperialista e neocoloniale di Putin è finita in soffitta. Tuttavia solo il tempo ci dirà quanto è profonda questa sconfitta e se condizionerà anche gli sviluppi interni alla Russia e non solo quelli internazionali.

L’economia del paese non ha subito il crollo che in un primo tempo era atteso non solo a Wall Street ma anche dalla stessa Banca Centrale Russa. In un primo periodo hanno giocato un  certo ruolo l’esplosione dei prezzi del gas e del petrolio e dell’acquisto a ritmi inediti di idrocarburi Urals da parte della Cina e dell’India.

Ma non si tratta solo di questo ma di una serie di fattori combinati che hanno permesso alla Federazione di chiudere l’anno solo con una riduzione del Pil del 2,1%.

Il primo aspetto è una certa mobilitazione dell’industria leggera interna. L’uscita dallo swift, i problemi della logistica e delle sanzioni hanno aperto grandi spazi di mercato per le imprese russe. Pensiamo solo al settore del mobile o delle bibite gasate. L’effetto della mobilitazione è stata anche una riduzione di forza-lavoro che ha spinto verso l’alto i salari. Per sostenere lo sforzo bellico si sono aperti i cordoni della spesa pubblica ed è stato sostenuto il rublo con ingenti interventi sul mercato valutario prima con euro e dollari e ora con la divisa cinese.

Calcolare lo sforzo bellico del Cremlino è difficile. In parte ci possono venire in aiuto gli stessi dati forniti dal Ministero della Difesa russia. L’industria degli armamenti sta impergnando 852 mila lavoratori a ciclo continuo di 24 ore al giorno.

Secondo uno degli studi, seppur di parte, della Jamestown Foundation la stima dei costi immediati della guerra della Russia contro l’Ucraina nel periodo 2022-2023 è cresciuta da 5 mila miliardi di rubli a 10 mila miliardi di rubli, mentre le entrate totali del governo russo per il 2022 sono state di 27,77 trilioni di rubli e le spese totali di 31,11 trilioni di rubli. Il deficit è pensate e non a caso durante quest’anno si è assitito a collette nei collettivi di lavoro, un imposta “ volontaria” di 300 miliardi di rubli sulle imprese private e il mancato pagamento dei dividendi per gli azionisti di Gazprom.

Le entrate totali del governo russo per il 2022 sono state di 27,77 trilioni di rubli (circa 409,68 miliardi di dollari) e le spese totali di 31,11 trilioni di rubli (poco meno di 459 miliardi di dollari) (RBC, 10 gennaio 2023). Tuttavia, il bilancio governativo prebellico prevedeva 25 mila miliardi di rubli (368,81 miliardi di dollari) di entrate e solo 23,78 mila miliardi di rubli (350,81 miliardi di dollari) di spese (Minfin.gov.ru, dicembre 2021). Pertanto, la spesa aggiuntiva e non pianificata del 2022 è risultata essere di 7,33 trilioni di rubli, pari a 107 miliardi di dollari. Nel frattempo, gli ulteriori 2,77 trilioni di rubli (40,86 miliardi di dollari) di entrate provengono dall’aumento delle tasse su Gazprom e sul Fondo della ricchezza nazionale russa, che di fatto significa un’emissione di rubli (Kommersant, 28 settembre 2022; Minfin.gov.ru, 8 novembre 2022; TASS, 27 dicembre 2022).

La pianificazione del bilancio statale russo per il 2023 prevede 26,13 trilioni di rubli (385,48 miliardi di dollari) di entrate e 29,06 trilioni di rubli (428,71 miliardi di dollari) di spese (Budget.gov.ru, 5 dicembre 2022). La quota di spesa per la difesa nazionale dovrebbe superare i 5.000 miliardi di rubli (quasi 74 miliardi di dollari), mentre la quota di bilancio dedicata alla sicurezza nazionale e alle forze dell’ordine dovrebbe superare i 4.400 miliardi di rubli (64,9 miliardi di dollari). Pertanto, se i costi immediati stimati della guerra della Russia contro l’Ucraina nel periodo 2022-2023 sono cresciuti da 5 trilioni di rubli (quasi 74 miliardi di dollari) a 8,3 trilioni di rubli (122,4 miliardi di dollari) nel novembre 2022 (cfr. EDM, 17 novembre 2022), ora superano decisamente i 10 trilioni di rubli (147,5 miliardi di dollari).

Tuttavia, tutti questi trilioni di rubli in più nel 2022 non hanno portato a un aumento significativo della produzione di armi. Ad esempio, il tasso di produzione totale in Russia per il periodo che va da gennaio a novembre 2022 è stato del 99,2% rispetto allo stesso periodo del 2021. (Rosstat.gov.ru, 28 dicembre 2022; Rosstat.gov.ru, 28 dicembre 2022).

Alcuni indici hanno mostrato comuqnue un aumento significativo della produzione e sono legati all’industria della difesa come nella produzione di radar, computer ed elettronica varia.

Il Cremlino sta cercando di risolvere il problema ad ogni costo. L’opzione principale presa in considerazione è quella di utilizzare, nel 2023, i magazzini di componenti e materiali destinati alla produzione di armi nel 2024-2025. Tradizionalmente, l’industria della difesa russa crea tali depositi prima dell’inizio dei contratti di armamento a lungo termine (Mil.ru, 21 dicembre 2022). Di conseguenza, l’industria della difesa russa potrebbe produrre il maggior numero possibile di armi nel 2023, invece di attenersi al lavoro precedentemente programmato per il 2023-2025. Il risultato immediato sarebbe un’inflazione da costo maggiorato, con l’inevitabile prospettiva di un’ulteriore inflazione e di un calo della produzione negli anni a venire, il che significa che la media degli armamenti prodotti annualmente rimarrà invariata o diminuirà. Tuttavia, la leadership russa preferisce ignorare questa prospettiva. Quindi non tutti i costi di guerra sono immediatamente calcolabili e si diluiranno nel tempo.

Un’altra grave sfida si presenta sotto forma di un grave deficit di personale nell’industria della difesa russa, stimato ufficialmente in 400.000 lavoratori e ingegneri (VPK, 30 giugno 2022). Al fine di alleviare questa sfida, i dirigenti di tutte le fabbriche della difesa hanno la possibilità di rendere i sabati lavorativi e di cancellare le ferie dei dipendenti, come nel caso di Kurganmashzavod, l’unico produttore russo di veicoli da combattimento blindati cingolati (Ura.ru, 20 dicembre 2022). Il totale delle esportazioni di armi per il 2022 è stato sicuramente molto inferiore a quello del 2021, quando ammontava a 14,6 miliardi di dollari (Kommersant, 15 agosto 2022) e in parte ciò è dovuto dalle cattive prestazioni proprio in Ucraina dell’esercito russo.

Secondo  la Fondazione americana: “anche se la leadership russa aumenta la spesa per la difesa e non si preoccupa dei costi crescenti della guerra, le opportunità effettive per la Russia di migliorare la produzione di armi sono limitate. Il Cremlino si trova di fronte a una mancanza di tempo e di sostenibilità economica a lungo termine”.

Andrebbero analizzate, inoltre, le dinamiche economiche di un paese “aggressore” e che tende a trasformare la propria economia in economia di guerra. Le analogie storiche sono sempre pericolose e vanno trattate con circospezione ma lo sviluppo del Pil della Germania nazista ci dovrebbe fornire qualche spunto di riflessione, come si nota da questo grafico. Non è assolutamente scontato che un’economia di guerra vada in recessione.

Il quadro morale interno non è meno complicato.L’ampio sostegno all’Operazione Speciale calcolato oltre il 70% dai mass-media russi si è fortemente raffreddato dopo la mobilitazione del 21 settembre, creando ulteriore preoccupazione, paura e sconcerto tra la popolazione. Molti uomini maschi, soprattutto delle grandi città europee, hanno preso la strada dell’esilio. Difficile fare i conti di quanto russi hanno abbandonato il Pese ma i dati ufficiali del governo russo ci dicono che la richiesta di passaporti è nel 2022 aumentata a 5,4 milioni, cioò del 40% in più rispetto all’anno precedente. Milioni di persone che sono emigrate o hanno fatto il passaporto nel caso diventasse per loro urgente abbandonare il paese. Si tratta di una tragedia che tocca molte famiglie quella di giovani che da un giorno all’altro si riempiono la valigia e affrontano l’avventura di andare all’estero dove non è per nulla facile insediarsi.

I numeri dei morti e dei feriti russi è posta di fatto sotto stretta censura ma non è fantascientifico pensare che che tra morti e invalidi si possa parlare di centinaia di migliaia di persone: un dato che condizionerà lo stesso sviluppo socio-economico del paese dei prossimi anni e forse decenni se si calcolano anche le malattie mentali associate alla guerra, i fenomeni della tossicodipendenza e dell’alcolismo.

Dentro questa dinamica, si è assistito a una tenace resistenza giovanile fatta di manifestazioni, picchetti individuali, sabotaggi dell’industria e della macchina bellica pur in un quadro di disfacimento di quella che era stata l’opposizione organizzata al Cremlino negli scorsi anni.

In Ucraina la situazione – benchè chi scrive non la conosce con la stessa profondità di quella russa – è ancora peggiore di quella della Russia. Il Pil quest’anno si è ridotto dal 30-35%, il paese tra rifugiati e morti è al collasso (probabilmente oggi non ci sono più di 32 milioni di abitanti) e anche l’eroica resistenza contro un’esercito molto più attrezzato e collaudato ha potuto conseguire dei successi solo grazie all’aiuto umanitarie e militare dell’Occidente e in particolare degli Usa. Questo ipoteca in buona parte le prospettive future del Paese che rischia di venire completamente colonizzato dalle grandi corporations capitaliste. La ricostruzione non sarà a gratis nè tantomeno indolore: per questo una sinistra che si possa definire tale dovrebbe chiedere l’annullamento del debito estero ucraino che rappresenta un cappio al collo per un ‘impero popolo e ne riduce di fatto l’indipendenza.

Non abbiamo dubbi: come nel 1939-1945 meglio il “meno peggio” che una vittoria del totalitarismo che avrebbe chiuso ogni possibilità di sviluppo autonomo del movimento dei lavoratori non solo nei due paesi coinvolti nel conflitto ma in tutto l’ex Urss, aprendo la strada a nuove sanguinose avventure per ripristinare lo zarismo a largo raggio. Tuttavia i caratteri conservatori, quando non reazionari, del governo Zelenskij non vanno sottovalutati. Durante questa guerra sono state approvate nuove leggi di liberalizzazione del mercato del lavoro e della terra che faranno dell’Ucraina terra di conquista dello sfruttamento più vieto. Inoltre l’abrogazione del diritto di obiezione di coscienza rappresenta una misura che viola tutti i più elementari diritti democratici. Per questo la sinistra europea dovrebbe operare alacremente perchè in quel paese si formino sindacati e organizzazioni di sinistra robuste.

Per ora, soprattutto in Italia, invece quel poco di sinistra che esiste percorre la strada opposta nascondendosi dietro al “primo nemico è in casa nostra” assecondando di fatto gli uomori reazionari isolazionisti o l’indifferentismo sulla fuoriuscita dalla guerra. Una peculiare forma di bordighismo da sempre. corrente inane politicamente.

Non siamo esperti di questioni militari e non possiamo immaginare cosa succederà nei prossimi mesi. La percezione è il sostegno degli Usa a Kiev sarà “a tempo” e si misurerà su quanto avverrà sui campi di battaglia in primavera e in estate. Per questo Putin che sembra non in grado di sfondare nè verso Kharkov nè verso Odessa, si pone l’obiettivo di resistere, minacciando, che si aprano delle linee di faglia nel fronte occidentale.

Per chi è democratico e di sinistra si tratta di operare per una ex Urss, democratica, indipendente, antifascista e antistalista e senza oligarchi. Una battaglia per l’oggi e soprattutto per il domani.

 

Per continuare a fare questo lavoro abbiamo bisogno del vostro sostegno, anche piccolo.


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