Putin lancia il mini-welfare pre-elettorale, opposizione ancora in piazza






Il discorso di Vladimir Putin all’Assemblea Federale come ai bei tempi di Leonid Breznev quando la Russia era a modo suo una grande potenza, è stato interrotto da ben 52 applausi scroscianti, dall’uso di parole chiave che dessero l’idea di un paese in marcia (la parola sviluppo, razvitie, è ritornata 34 volte e progetto, proekt, 27) e da ammonimenti imperiosi ai paesi occidentali a non interferire negli affari interni russi e nella sua area d’influenza (Ucraina e Bielorussia).

Il tutto però, come nell’ultima fase del socialismo reale, una volta finita la kermesse e i delegati avevano abbandonata la sala, è apparo come di cartapesta, come un rituale discorso pre-elettorale per tirare la volata ai candidati di Russia Unita per le prossime elezioni della Duma di settembre.

Di promesse e di richiami al welfare il presidente russo nei 78 minuti in cui ha parlato ne ha dispensati parecchi ma i russi – già dalle prime reazioni – non sono apparsi neppure delusi quanto distratti. Putin ha parlato di riduzione della povertà, di ammodernamento della sanità, di piani di sviluppo demografico per portare l’aspettativa di vita media dei russi (entro il 2030) a 78 anni e di progetti per lo sviluppo delle infrastrutture mirabolanti, ma il tutto è suonato un già sentito, visto che si tratta delle stesse promesse fatte ai tempi della campagna elettorale per le presidenziali del 2018 ma mai neppure in parte realizzate. Dalla sua ha citato l’effetto pandemia ma visti i modesti interventi fatti lo scorso anno a difesa del piccolo e medio business e la sostanziale indifferenza mostrata dalle istituzioni alla seconda ondata del virus, più di effetto sarebbe più corretto di parlare di cortine fumogene.

Tra gli interventi sicuramente promessi c’è il cash back del 20% per chi farà le vacanze di patria, ma anche qui qui si tratta del prolungamento di una misura che avrebbe dovuto scadere alla fine di giugno e i cui effetti sull’industria delle vacanze sono stati finora nulli.

Sono stati promessi 45 mila nuovi posti di lavoro nell’amministrazione pubblica e la costruzione di qualche centinaia di nuove scuole ma soprattutto il presidente della Federazione ha proposto i soliti interventi a pioggia a favore delle famiglie con prole: per ogni bambino dagli 8 ai 16 anni ci sarà prossimamente un assegno mensile da 60-100 euro e per i figli di ragazze madre ulteriori 40 euro, poca roba a fronte di un rublo ormai stabile sopra i 90 contro euro in un paese dove gran parte dei prodotti finiti si importa in primo luogo i medicinali (che sono a pagamento).

L’unica misura seria in chiave sociale per alleviare una situazione che nella grande provincia russa resta difficile – il blocco dei prezzi – è stata rigettata da Putin come “sovietica”. Così alla fine l’interesse politico si è concentrato sui 7 minuti e 25 secondi dedicati alla politica estera. Dopo aver grottescamente solidarizzato con Alexander Lukashenko contro cui sarebbe stato recentemente ordito un tentativo di omicidio e un colpo di Stato a Minsk, non si sa quanto volontariamente Putin ha voluto dare in chiave ultranazionalista l’idea di una Russia cittadella assediata. E ruggito facendo di riferimento alla situazione del Donbass: “Vogliamo davvero avere buoni rapporti con tutti i membri della comunità internazionale, compresi, tra l’altro, con coloro con i quali i nostri rapporti, per usare un eufemismo, non sono cresciuti negli ultimi tempi. Non vogliamo davvero bruciare ponti alle nostre spalle. Ma se qualcuno percepisce le nostre buone intenzioni come indifferenza o debolezza e lui stesso intende finalmente bruciare o addirittura far saltare questi ponti, dovrebbe sapere che la risposta della Russia sarà asimmetrica, rapida e dura”.

E così mentre il presidente russo malgrado quest’anno seppur in ritardo stia arrivando la primavera anche a Mosca si calcava in testa il colbacco, in serata tornava in piazza l’opposizione per chiedere la liberazione di Alexey Navalny ormai alla terza settimana di sciopero della fame.

Le manifestazioni malgrado le dure dure repressioni di questi mesi (l’emergenza democratica non è solo il blogger populista ma anche i centinaia di processi contro chi è sceso in piazza questo inverno) sono state significative.

Per le stesse valutazioni del Ministero dell’Interno sarebbero scese in piazza sfidando i divieti della questura 6 mila persone a Mosca e 4.500 a San Pietroburgo, numero che sarebbero come minimo da raddoppiare per i media dell’opposizione come Meduza e Novaya Gazeta.

Manifestazioni si sono tenute in decine di città e il focus sono state zone degli Urali (5 mila persone a Ekaterinburg secondo la polizia), e della Siberia (Omsk, 3000 persone). Manifestazioni come al solito variegate dove sono scesi in piazza non solo i sostenitori di Navalny ma anche importanti settori delle lotte sociali ed ecologiste del paese come nella Repubblica Komi e a Kazan’. 1300 sono stati infine i fermi (500 solo a San Pietroburgo) che produrranno inevitabilmente una nuova messe di arresti amministrativi e processi penali.

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