Russia – Quell’immensa voglia di migranti

Come è possibile capire immediatamente l’approccio del regime di Putin al tema migrazioni, schiacciato com’è dai saldi demografici negativi, è assolutamente lontano da quello delle destre europee con cui spesso si è interfacciato. A tale proposito riproduco il paragrafo sul tema nel mio libro “La sfida di Putin” pubblicato nel 2018 per la Manifesto Libri.

Il calo demografico del paese è stato frenato in primo luogo dall’assorbimento di forza-lavoro immigrata. Migranti provenienti dall’Ucraina (operai specializzati, badanti e baby sitter), dai paesi del “Vicino Estero” asiatico come Uzbekistan, Kirgistizan, Tadjkistan (operai edili e chimici, pulizia delle strade e portierato, manutenzioni) Caucaso (piccolo commercio e operai dei servizi). A cui si deve aggiungere la classe operaia cinese e vietnamita nell’estremo fareast siberiano (Irkutsk e Vladivostok). Un sfaccettatura del processo di “auto-colonizzazione” che ha attraversato sempre la storia russa. La Confederazione Indipendente del Lavoro russa ha denunciato nel 2017 la presenza di circa 100.000 lavoratori nordcoreani in condizione di «simil-schiavitù». Il governo di Pyongyang fornirebbe «forza-lavoro low cost» (ovvero l’equivalente di 300-350 euro) ad aziende russe. Nello schema previsto dai coreani al lavoratore sarebbe garantito vitto e alloggio, alla sua famiglia una rimessa di 20 euro circa mentre il resto del salario finirebbe automaticamente nelle casse dello Stato coreano. Complessivamente si tratta di un esercito di 11 milioni di migranti a cui si devono aggiungere, secondo l’agenzia statale di statistica, almeno 3,5 milioni di lavoratori stagionali e altrettanti di lavoratori illegali. Putin e il suo partito, “Russia Unita”, sono sempre stati favorevole a importare manodopera dai paesi ex-sovietici. Per venire a lavorare in Russia dai paesi ex-Urss non serve il visto e per il libretto di lavoro basta superare un facile esame di lingua russa. In un inserto sull’immigrazione del quotidiano Nezavisimaya Gazeta del 2017 si sottolineava ironicamente che “se Trump e Le Pen fossero in Russia sarebbero all’opposizione”. Ildar Gilmutdinov, deputato di “Russia Unita” sostiene che “la scelta del visa-free è per noi strategica ed è inaccettabile l’idea di evitare il melting-pot tra diverse etnie”. Paradossalmente, ma neanche troppo, sono gli ipernazionalisti comunisti a giocare il ruolo che in Italia gioca la Lega Nord di Salvini: il deputato comunista Valery Rashkin ha proposto per esempio l’introduzione di visti per i cittadini centroasiatici “lavoratori a bassa qualificazione che rubano posti di lavoro ai russi”. La realtà è che la Russia come ogni altra potenza, e di questo Putin ne è perfettamente cosciente, ha una necessità vitale di forza-lavoro a basso costo, flessibile, ricattabile e, alla bisogna, deportabile nei paesi di origine. Non è un caso che Putin abbia stroncato con durezza la destra neofascista e xenofoba che fino ai primi anni 2000 aveva mano libera per incursioni e pogrom contro gli immigrati, un fenomeno che rischiava di trasformare le periferie delle città russe in piccole aree di “guerre civili a bassa intensità”. Ma contraddizioni esplosive etniche e di classe, continuano a covare nelle città russe. Nella notte del 20 settembre 2017 a Mosca, migliaia di migranti originari delle repubbliche centroasiatiche, si scontrarono con i vigilantes e la polizia davanti ai cancelli di un centro commerciale dopo che in mattinata cinque loro compagni erano stati picchiati dai vigilantes del centro perché non avevano pagato la “mazzetta” quotidiana per accedere al lavoro. L’integrazione in Russia resta difficile. Dell’accoglienza e della solidarietà si fanno carico varie organizzazioni non governative, in crescita negli ultimi anni, malgrado il governo le guardi con sospetto. La Chiesa ortodossa invece, a differenza di quella cattolica, non si prodiga nell’accoglienza e anzi spesso soffia sul fuoco del nazionalismo grande russo e sul “pericolo islamico”. Nel 2016 il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin non ha trovato di meglio che fare appello ai russi a partecipare al tradizionale concerto di fine anno sulla Piazza Rossa perché negli ultimi anni la piazza era stata completamente riempita da giovani asiatici arrivati dalla periferia moscovita per festeggiare con pochi spiccioli. Questa emarginazione dalla società russa, può amplificare e rendere permanente il pericolo del terrorismo. L’associazione dei migranti di Mosca è convinta che “i foreign fighers di ritorno dalla Siria dopo la disintegrazione dello Stato Islamico possono trovare sostegno e basi di appoggio nelle grandi megalopoli russe facendo leva sulla frustrazione di molti migranti centroasiatici posti ai margini della società.