Proponiamo la traduzione di questo reportage della giornalista russa Elizaveta Aleksandrova-Zorina pubblicato sul portale di giornalisti russi indipendenti di sinistra Zanovo (https://zanovo.media/). Il pezzo è particolarmente interessante perché mostra l’ipocrisia della società svedese che vanta nel mondo un’immagine “socialista” per il suo inclusivissimo welfare mentre ai suoi margini riproduce sfruttamento e emarginazione as usual.
Ci sono molti migranti per lavoro dai paesi post-sovietici in Svezia. Fuggono dalla povertà, dalla corruzione, dallo sfruttamento e dalla violenza, ma quando giungono qui, si trovano in un mondo meschino e chiuso, in cui ritrovano la stessa corruzione, sfruttamento e violenza. Le donne sono le più vulnerabili perché deboli, flessibili ed a prezzi di saldo.
Elizaveta Aleksandrova-Zorina ha studiato come vivono queste donne, ha imparato a conoscere i loro mariti, i loro clienti e i loro datori di lavoro.
Come gli uomini, le donne lavorano 12-14 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. Ma i loro guadagni sono molto più bassi, spesso vengono ingannate dai datori di lavoro e diventano vittime di sfruttamento sessuale. Le loro storie non attirano l’attenzione del giornalismo investigativo come i bordelli underground o il traffico di esseri umani. Il destino di queste donne non interessa a nessuno. Non c’è nessuno che interceda per loro. Non si lamentano, del resto.
Molte cercano lavoro su “Swedish Palma” e “Russian Roulette”, siti per cittadini di lingua russa che vivono in Svezia; dalla Russia, dall’Ucraina, dai paesi baltici, dall’Asia centrale e dal Caucaso. Oltre al lavoro, in questa rete, puoi trovare un letto e un piccolo mondo fatto di contrabbando di alcol, sigarette e antibiotici, un coniuge fittizio e sesso in cambio di soldi.
In generale, la prostituzione in Svezia è vietata, ma il piccolo mondo di origine ex-sovietica vive di vita propria.“Coppia M + F cerca una ragazza per sesso. Il pagamento è garantito”,“ Sto cercando una ragazza da incontrare. Posso riconpensarla”, “Sto cercando uno sponsor maschile. Purtroppo ho perso il lavoro”,“ Donna per un’ora, 700 corone”.
Per raccogliere storie per il mio libro e immaginare cosa devono affrontare le donne, lascio anche io un annuncio nella sezione “Cerco lavoro”: “Donna, 30 anni, senza permesso di soggiorno, cerca di qualsiasi lavoro full o part-time a Stoccolma” e ricevo diverse risposte. Offerte di incontro per 400 corone l’ora e tre posti di lavoro vacanti, solo che sei tu a dover pagare qualcosa in anticipo. Mi offrono anche le pulizie in appartamenti: 70 corone l’ora, ma 2500 corone mi verranno detratte dai miei onorari, a favore di un intermediario. Insomma devi lavorare 35 ore gratuitamente. Tali annunci non sono rari. Molto spesso, l'”intermediario” e il “datore di lavoro” colludono oppure sono coniugi che gestiscono la stessa attività. Le aziende sono registrate in Polonia e assumono donne ucraine con documenti polacchi, altre vengono preso in nero. È molto conveniente: manodopera gratuita, soprattutto perché dopo 35 ore gratis si possono cacciare i lavoratori e assumerne di nuovi.
Un’altra mail propone incontri intimi invece che lavoro. “Sto cercando una ragazza con cui uscire durante il giorno, l’aiuterò un po’ economicamente. Ho un bell’aspetto, vivo a Stoccolma da oltre 30 anni, lavoro su sistemi informatici”. Chiedo dove ci incontreremo e cosa si intende per aiuto. L’uomo risponde: ci incontreremo in albergo un paio di volte a settimana, sono pronto a pagare 1500 corone al mese. A quanto pare, crede che una donna che si ritrova senza lavoro sia pronta a tutto, e quindi perché non approfittarne.
Un altro scrive: “Ciao, bellezza! Cerchi un lavoro? Siamo d’accordo!” Suggerisce che gli potrei fare un massaggio rilassante (sospetto che non sia solo un massaggio) e dei lavori di pulizia la sera. Nella quarta mail, mi viene chiesto di inviare una foto e mi chiesto se sono illegale in Svezia, e rispondo di sì. Una giovane coppia, marito e moglie, mi offre un lavoro a casa come modella web per siti porno e a tempo perso come governante: promettono 5000 corone al mese, vitto e alloggio gratuiti. Spogliarsi davanti alla telecamera per 6 ore al giorno per intrattenere degli uomini e poi cucinare, lavare, pulire. La casa si trova quasi in una foresta, a un’ora da Sollefteå, una piccola città nel nord della Svezia. A differenza della prostituzione, ciò non è proibito. E certo questo non può essere chiamato schiavitù. Ma immagino le donne che vengano a trovarsi in questa casa (le pubblicità di questa coppia sono apparse periodicamente su Internet per un anno e mezzo), e mi sento triste e spaventata per loro.
Un mio amico di Helsinki, un sociologo, coinvolto in un esperimento, pubblica lo stesso annuncio su un sito web in lingua russa e finlandese. E riceve solo un’offerta: da un magnaccia. A differenza della Svezia, la prostituzione in Finlandia non è vietata, ma è vietato il sfruttamento. “Prima devo incontrarti, vedere tutto quello che puoi fare. Non posso offrirti a nessuno finché non capisco chi sei, cosa stai facendo e come”, scrive il “datore di lavoro”. Non le viene offerto nessun altro lavoro.
Decido di regalarmi un’esperienza di pulizie. Chiamo Armen, che paga 100 corone l’ora (ma 50 durante il periodo di prova). Promette che mi chiamerà quando ci sarà lavoro. E il giorno dopo vado a Ockersberg, un sobborgo di Stoccolma, a 40 minuti di treno. Per chi è di Mosca, questo non è niente, ma per gli standard di Stoccolma non c’è che dire. Ci vogliono altri 20 minuti per arrivare dalla stazione in autobus. Arrivo all’indirizzo che mi è stato inviato: bilocale 70 mq. metri, niente elettricità. Dilsuz, che già lavora lì, accende la torcia sul suo cellulare. Mi dà uno straccio, un secchio e un detersivo e mi manda a lavare il bagno. Entro 15 minuti mi fa male tutto, le braccia, il collo, la schiena e penso a come scappare.
“Sì, anche io sono stanca”, dice Dilsuz, vedendo come mi appoggio al muro, riprendendo fiato. “Ieri ho lavorato fino alle tre del mattino, e nel pomeriggio ero già a pulire. Questo è il terzo appartamento per oggi” mi dice.
Ha una trentina d’anni, viene dal Tagikistan. Affitta una stanza a Rinkeby, famoso quartiere di migranti, lavora come cameriera e nel tempo libero, dopo il lavoro e nei fine settimana, come donna delle pulizie. Dorme in metropolitana, perché vi trascorre 3 ore in viaggio ogni giorno. Nel bar dove lavora dalle 14 alle 3 del mattino, viene pagata 80 corone l’ora, 100 corone per le pulizie se è fortunata, circa 26.000 al mese in tutto. Paga 4.000 per una camera, 900 per l’abbonamento dei mezzi pubblici, ne manda 10.000 a casa e pensa di essere favolosamente fortunata.
Potrebbe sembrare che stia facendo molti soldi. Ma per la Svezia, questo è molto poco, è tutto costoso qui. Per 100 corone in un negozio puoi acquistare solo pane e formaggio o quattro chilogrammi di patate.
“E quando riposise lavori tutto il tempo?” chiedo, strascicando sul pavimento con l’ultimo pizzico di forza che mi è rimasta e asciugando lo sporco battiscopa.“Sei venuta qui per riposarti?” mi replicano sorpresi Dilsuz e il suo amico Armen.
“Ma almeno qualche volta potrai riposare…” “Ho bisogno di lavorare. Certo che è difficile. Ma è ancora più difficile senza lavoro”. dicono
Se Dilsuz si ammala, fa l’hijama, un salasso prescritto per tutte le malattie, dall’infertilità all’oncologia. Negli ultimi anni, è diventato un trattamento molto popolare nelle repubbliche musulmane del Caucaso settentrionale e dell’Asia centrale. Gli “Hajims”, i maestri dello hijama, portano a casa 300-500 corone per prestazione. Non hanno istruzione medica o diplomi e il metodo, medioevale, è più che dubbio. Ma Dilsuz ha paura dei dottori e i suoi documenti non sono a posto.
In genere ha paura di tutto, soprattutto di perdere il lavoro.
Prima della Svezia, Dilsuz ha lavorato a Mosca per molti anni. È venuta a Stoccolma due anni fa con suo marito, ma lui l’ha lasciata.
Armen si rimbocca le maniche e lavora con noi. Si è svegliato anche lui alle cinque del mattino e sta bevendo una “bevanda energetica” per non addormentarsi.
“Sono così felice di lavorare per lui, sono così fortunato con lui”, dice Dilsuz. “È una brava persona, non offende, non tradisce per i soldi, una rarità”.
Quando non ci sono contratti, sindacati e diritto del lavoro, si può solo sperare che il datore di lavoro si riveli una brava persona.
Di solito, le donne guadagnano 15.000-16.000 corone al mese per fare le pulizie se sono ufficialmente impiegate. Inoltre, dopo il lavoro e nei fine settimana, prendono lavori part-time.
La settimana lavorativa di 40 ore, forti sindacati e famose leggi sul lavoro svedesi non sono per loro.
Spesso ricevono la metà dei soldi per la pulizia dell’appartamento rispetto a quanto pagato dal cliente: è così che il datore di lavoro risparmia sulla loro paga oraria. Paga la metà, ma fa lavorare due volte più velocemente e duramente.
Anche “la struttura ufficiale”, in generale, non è poi così ufficiale. Non è facile trovare lavoro in Svezia, essendo completamente privi di documenti, ma il “permesso di lavoro” richiesto dalle aziende non è un vero permesso di lavoro. Dall’introduzione del regime di esenzione del visto, un numero enorme di ucraini è arrivato in Svezia. In Svezia, i lavoratori migranti provenienti dai paesi post-sovietici costituiscono la stragrande maggioranza. Gli ucraini acquistano visti di lavoro polacchi e lavorano per aziende registrate in Polonia. In realtà i visti polacchi non sono del tutto legali per lavorare in Svezia, quindi tutto ciò si trasforma in straordinari non pagati, condizioni di lavoro bestiali e deportazioni costanti. Naturalmente, le aziende svedesi non lavorano con immigrati illegali o con visti di lavoro polacchi. Ma questo non significa che gli svedesi non utilizzino i loro servizi: il più delle volte una società svedese legale assume un subappaltatore. Se il subappaltatore viene arrestato, l’azienda può sempre fare spallucce e dire che non aveva idea di cosa stesse succedendo.
Per gli svedesi, la giornata lavorativa di 8 ore e il fine settimana sono sacri. È totalmente inutile scrivere a qualcuno per avere lavoro venerdì pomeriggio: se rispondono, vi offriranno di farvi risentire il lunedì mattina. Ma per le donne migranti la musica è diversa. Non appena la normale giornata lavorativa è terminata, inizia la nuova giornata di lavoro non ufficiale.
Ad esempio, Leila, da cui vengo per fare la manicure, di giorno lavora in un salone dove affitta un locale, e la sera e nei fine settimana riceve i clienti a casa. Non ha vacanze né giorni di riposo.
“E chi lavorerà per me se mi riposo?” ride.
Quando arrivo, ha un altro cliente. Leila fa un taglio di capelli a un uomo nel corridoio, davanti a un grande specchio. Il tappeto viene gettato di lato, i capelli cadono a terra. Vivono in un quadrilocale: Leila, la sua amica nordcaucasica, un uomo con il figlio della Bielorussia; la stanza d’ingresso l’affittano sempre a nuova gente che va e che viene ogni settimana.
“Il figlio di un nostro nonno è anche lui giornalista”, mi dice Leila. Lei sa chi sono, non fingo.
“Di che scrive?” chiedo. “Di niente installa finestre, lavora sempre, torna a casa la sera” dice Leila che viene dall’Uzbekistan. Sono rimasti tre figli a Tashkent, il più giovane ne ha 12. Ha visto a malapena i suoi figli in questi anni, ha lavorato tutto il tempo, vivendo prima per 10 anni in Russia, ora qui in Svezia. Crescono da soli, gli anziani si prendono cura del più piccolo e lei manda loro dei soldi. “Mio marito se ne andato da molto tempo e non aiuta”. “Non mi sposerò più – ride. Mi serve, forse? Per essere picchiata, controllata, tradita? Solo problemi vengono dai mariti. Sono così felice di essere finalmente libera! Perché dovrei tornare a quella schiavitù?”
Leila è molto orgogliosa del suo diploma internazionale. Ha studiato a Mosca per cinque anni. Ma lì ha dovuto lavorare in saloni di parrucchiere di “classe economica”, accettando 40-50 clienti al giorno, perché i saloni come si deve richiedono non solo capacità professionali, ma anche “la nazionalità slava”. In Svezia, ovviamente, non oserebbero scriverlo negli annunci, altrimenti verrebbe fuori uno scandalo nazionale, Ma Leyla è destinata a lavorare per gli spiccioli, servendo i nuovi arrivati come lei.
Nella sua stanzetta angusta c’è un letto, un tavolino, sotto il quale sono imballate le valigie, uno scaffale pieno di accessori da lavoro. Leila fa di tutto: massaggi, manicure, pedicure, depilazione, taglio di capelli, extension ciglia, depilazione delle sopracciglia.
È agile, ride tutto il tempo, ma a volte i suoi occhi si stringono. E allora va a prendere una bevanda energetica o fuma.
La sua coinquilina, gira nella stanza, prende da Leila quello che il cliente precedente le aveva pagato per il taglio di capelli.
“Ma un uomo, dice alla sua amica. È impossibile senza un uomo”.
“Perché?” Chiedo, ricordando le sue parole di poco prima sul matrimonio.
Leila mi guarda, cercando di capire se sto scherzando.
“Come perché? Se sei senza un uomo, chiunque può offenderti e schiacciarti. E non ti prendono per il culo, sanno che c’è qualcuno che ti difende”! La Svezia sarà pure al 4° posto nella classifica dei paesi per l’uguaglianza di genere, ma non qui. In questo piccolo mondo regna il patriarcato. Tutto già visto. A Mosca.
Una donna del Tagikistan una volta mi ha detto: “In Russia siamo come in una guerra, non possiamo sopravvivere da sole”.Il suo nome era Ruzi (che si traduce come “Felice”) e suo “marito” era Anzur (“Straordinario”). “Felice” ha incontrato “Straordinario” sul treno diretto a Mosca,e quest’ultimo le aveva proposto di vivere insieme. Aveva due figli, ma suo marito se ne era andato a lavorare da qualche parte, lasciando la sua famiglia a casa. Così Felice e Straordinario hanno iniziato a vivere insieme, fingendo di essere marito e moglie. Le donne ricevono molto meno degli uomini, e il “marito” aiuta la sua “moglie” provvisoria, le dà dei soldi, affitta una casa, e lei in cambio dorme con lui, fa le pulizie e prepara il cibo. Però se la vera famiglia decide di trasferirsi da lui, la “moglie” temporanea viene cacciata in strada nel giro di poche ore.
Naturalmente, né Leila, né Dilsuz, né molti, molti altri diranno che la loro vita è umiliante, insopportabilmente dura e assolutamente senza gioia qui in Svezia. Non la pensano così. Dopotutto, prima della Svezia, vivevano in Russia e il modo in cui vivono qui non può essere paragonato a quello che hanno sopportato lì.
La Russia, già. Una volta in un edificio dove gli appartamenti costano da un milione di euro in su, scesi nel seminterrato dove vivono gli spazzini centroasiatici: soffitti bassi, buio e umidità, una grande stanza con materassi sporchi stesi sul pavimento assieme a povere cose, una stufa, un fornello con un’enorme casseruola in cui veniva cotto il kala-pocha, cioè testa e gambe di agnello. E negli angoli sentivo un cigolio e un fruscio, come se ci fossero dei topi mentre gli abitanti rannicchiati l’uno contro l’altro, si nascondevano sotto stracci e coperte sporche.
Per molto tempo a Sokolniki, i custodi hanno vissuto in un ex rifugio antiaereo, scavato negli anni ’40. Dopo un paio d’anni di tale vita, molti sono tornati a casa loro, vecchi e distrutti, con l’artrite, i polmoni dsitrutti e l’anemia. A 300 chilometri da Mosca, a Kozelsk, ho visto una famiglia che viveva in una fredda roulotte di ferro senza wc e doccia. Il marito e la moglie dormivano fianco a fianco al bambino per tenerlo al caldo. La roulotte si trovava nel mezzo di un campo dove i migranti lavoravano per una fattoria locale.
I loro passaporti, ovviamente, gli venivano portati via e invece di uno stipendio a volte ricevevano cibo e denaro in piccole quantità.
Così quindi quello che ho visto in Svezia dove vivono stipati troppi inquilini in appartamenti con letti a castello di ferro o accovacciati in centri commerciali abbandonati che si preparano alla demolizione, non sembra essere qualcosa di così mostruoso. E le condizioni di vita non sembrano così barbare i mobili di IKEA rendono accogliente anche uno squat mentre i guadagni, qualunque cosa accada, consentono loro di aiutare decentemente le loro famiglie. Sì, devi lavorare 10-12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, sì, succede che il datore di lavoro non paghi o ti dia solo la metà, sì, a volte devi fare sesso con uomini per 400 corone all’ora, ma puoi anche trovare un uomo fisso che proteggerà e aiuterà, e allora diventerà un po’ più facile.
È un mondo separato e invisibile che esiste nell’oblio, separato dalle leggi svedesi e dai diritti umani. Ma per coloro che possono restare scioccati da ciò che succede qui, sarà davvero difficile fingere, che gli svedesi non sappiano nulla.