Dopo 3000 arresti e centinaia di persone ferite in pochi avrebbero creduto che la notte di lunedì sarebbe stata un altra notte di manifestazioni e di scontri con la polizia dopo che il presidente Alexander Lukashenko aveva annunciato la propria vittoria nelle presidenziali tenutasi – all’insegna dei brogli secondo le opposizioni – domenica scorsa.
E invece le manifestazioni, in ben 38 città e cittadine di tutto il paese, sono state ancora più massicce, ancora più determinate anche se purtroppo un altro giovane dimostrante, tentando di sfuggire a un incendio, è morto. Gli arresti sono stati 2000 e i ricoverati in ospedale 200, alcuni dei quali in gravi condizioni.
Lunedì sera a scendere in piazza non sono stati solo giovani ma anche tanta gente comune, persino anziani, che forse in vita loro non si sarebbe mai immaginati di manifestare o tanto meno partecipare a scontri con la polizia. La quale è sembrata stanca e meno decisa nel reprimere le proteste e alcuni omon hanno persino disertato passando dalla parte dei dimostranti. Un fenomeno ancora limitatissimo ma che potrebbe essere foriero di conseguenze se dovesse crescere.
Ieri mattina intanto il movimento degli scioperi anti-regime si era allargato. Oltre alla fabbrica metallurgica di Zhlobin, la BelAZ di Zhodino i minatori di Soligorsk, hanno incrociato le braccia all’azienda del gas e allo zuccherificio comunale uscendo poi in corteo per la città. Ci si astiene dal lavoro anche alla fabbrica Megus che produce margarina a Minsk. Bloccata anche la linea grigia della metropolitana e alcune linee degli autobus. Fermate anche in tante piccole e aziende. Durante le assemblee dei lavoratori si parla di “sciopero fino alla vittoria” ma per ora pesa la mancanza di organizzazione visto che i sindacati ufficiali sono rigidamente controllati dal governo. “Tutto il male non viene per nuocere” sostiene Boris Kagarlitsky sociologo di Mosca e attivista della sinistra russa. “In Russia – di cui la Bielorussia и di fatto una propaggine – gli scioperi storicamente si presentano immediatamente come politici, pongono immediatamente la questione del potere politico” sostiene Kagarlitsky, anche se qui ovviamente le rivendicazioni restano per ora strettamente sul piano democratico ma si affacciano tante questioni irrisolte, prima di tutto la questione salariale.
Intanto Svetlana Tichonovskaya, la candidata unitaria delle opposizioni, è fuggita in Lituania. In un video fatto circolare sul web la donna afferma di essere molto stanca e chiede che cessino le violenze dei dimostranti. “Sono una donna fragile – afferma nel filmato – e sono rimasta comunque una massaia”. Secondo molti osservatori il suo “cedimento” ancor prima che nervoso sarebbe dovuto al fatto che la polizia avrebbe l’avrebbe minacciata di ritorsioni verso il marito Sergey, blogger di opposizione in prigione giа da qualche mese. A cercare di sostituirla è arrivata Veronika Zerpako – moglie di un altro candidato ora in esilio – che invece ha invitato la gente a tornare in piazza per “impedire il genocidio da parte di un regime criminale”.
Il movimento resta senza una direzione politica, almeno per il momento. Ciò ha reso l’approccio dei paesi occidentali ancora più cauto di quanto lo fosse il primo giorno, se si eccettuano le blande rimostranze del candidato democratico Usa Joe Biden.
Paradossalmente sembra che in molte cancellerie europee si preferisca per ora la repressione di Lukashenko al ritrovarsi nelle mani un paese economicamente povero e nel caos politico. Le stesse infiltrazioni nei cortei di agenti dei servizi segreti lituani, polacchi e ucraini – non improbabili – di cui si parla insistentemente da giorni il governo bielorusso non hanno trovato per ora nessun riscontro. La polizia, che ha mostrato in Tv filmati raccapriccianti di dimostranti dal volto tumefatto che “chiedono scusa al popolo” per le loro azioni teppistiche, ha dichiarato che alcuni di essi sarebbero russi, ma non è ancora riuscita ad arrestare altri stranieri. “La veritа è che quel poco di consenso che Lukashenko ha ancora è passivo e concentrato nella pubblica amministrazione. Sono veramente lontani i tempi in cui il presidente bielorusso si proponeva come diga contro le privatizzazioni e a difesa del welfare del paese. Tutto è ormai marcito, dopo 26 anni di potere ininterrotto” afferma ancora Kagarlitsky. Il lider maximo bielorusso ieri è rimasto inusualmente in silenzio cosм come il Cremlino dove il portavoce di Putin si è rifiutato di commentare gli eventi. Ma il suo ministro degli esteri Sergey Lavrov ha fatto la voce grossa per chiedere il rilascio di alcuni giornalisti russi arrestati a Minsk. A riprova del fatto che aldilа delle congratulazioni di prammatica del dopo voto le relazioni tra Minsk e Mosca restano tiepide, se non fredde.
Apparso su Il Manifesto il 12 agosto 2020