Intervista a Shakhnazarov: Il mio cinema “sovietico”…

YURII COLOMBO

Nell’ufficio dove mi accoglie Karen Georgevic c’è di tutto: statuette di premi, pizze di film, riviste di settore. L’aria condizionata è al massimo e disperde le nuvole di fumo del sigaro che perennemente pende dalle labbra di Shakhanazarov, mostro sacro del cinema russo e presidente dal 1988 della Mosfilm, il leggendario studio cinematografico di Mosca. “Sono appena stato a Roma per una retrospettiva dei miei film: la vostra capitale mi accoglie sempre meravigliosamente” mi dice. Shakhnazarov, di padre armeno e madre russa ha diretto il suo primo film nel 1979 ma il suo mentore fu Stanley Kramer che nel 1973 gli fece avere un biglietto con su scritto solo “pazienta”. Karen non dovette attendere molto. Il successo, anche internazionale, giunge già nel 1983 con il musical “Noi del jazz”. “Ho sempre amato la musica, ho diretto due musical nella mia carriera. Ho ha amato il rock della mia generazione, ma ora ascolto solo classica” confessa.

Karen Georgevic lei ha preso in mano in mano Mosfilm nel 1998, anni duri per il cinema russo ma anche per la Russia in generale. Come è stato in grado di farla rinascere?

Non si può immaginare il degrado in cui era caduta Mosfilm quando l’ho presa in mano. C’erano erbacce dappertutto, strade distrutte. Vi si erano erano insediate delle organizzazioni criminali che solo grazie alla mia storia e la mia autorevolezza trovammo il modo di farci aiutare dalle istituzioni per estirparle. Fu pericoloso subimmo anche minacce Il problema più grosso era però che tecnologie erano invecchiate. Dai tempi dell’Urss si era smesso di investire, tutto a cadeva a pezzi. Ho iniziato senza finanziamenti, non ho chiesto crediti e piano piano vendendo i diritti dell’enorme patrimonio della Mosfilm, ci siamo rialzati in piedi. La fortuna è che la Mosfilm non era stata privatizzata se no non esisterebbe più da tempo. Siamo rimasti ancora oggi un’azienda statale anche se non abbiamo alcun finanziamento: la Mosfilm continua ad esistere come realtà cinematografica basandosi esclusivamente sulle proprie energie. E da anni i nostri conti sono in attivo.

Oggi quali sono le principali attività di Mosfilm?

Lavoriamo per il cinema ovviamente, ma per il 70% vengono qui a girare serie televisive. Oggi in Russia ci troviamo sia per quanto riguarda il cinema sia per quanto riguarda la Tv in una fase di transizione. Non ha una propria identità definita e spesso copia quella altrui. Il cinema sovietico aveva un suo stile e una sua anima. Era stimato anche su scala mondiale e ancora oggi noi vendiamo i diritti di molte vecchie pellicole. Speriamo che quello russo contemporaneo possa trovare la sua strada.

Recentemente il il film di Armando Iannucci “Morto Stalin se ne fa un altro” è stato censurato in Russia ed è fresca la polemica sui tagli delle scene riguardanti l’uso di stupefacenti e l’omosessualità della biografia di Elton John e molti si chiedono se in Russia sia possibile un cinema libero…

Per quello che riguarda la Tv non posso dire anche se spesso vado in Tv e mai nessuno mi ha detto cosa devo dire e come. Per quanto riguarda il cinema, lo escludo. Sì certo c’è stato il caso del film su Stalin. Però bisogna capire che per noi Stalin è una figura drammatica, legata a vicende tragiche del nostro passato e ciò riguarda sia detto chiaro tanto gli stalinisti quanto gli antistalinisti. Qualcuno ha pensato che trasporre in farsa una tragedia fosse irrispettoso. Tuttavia io credo che non sia servito. Viviamo ai tempi di internet, se qualcuno vuole vedere qualcosa lo vede, alla fine si è fatta solo pubblicità al film che poi è uscito seppur non nelle sale principali.

Per quanto riguarda “Rocket man” ho la sensazione che i tagli siano stati effettuati dagli stessi produttori del film senza che vi fosse stata una qualche richiesta di censura. Si tratta di una pratica diffusa in America: vengono confezionate diverse versioni a seconda del mercato di distribuzione. Va inteso che la Russia è un paese multinazionale e multiconfenssionale. In Russia ci sono molti musulmani che hanno i loro valori e principi, di cui va tenuto conto. Io so che questa pratica è usata spesso per i film in uscita in Cina e in Arabia Saudita. Anche a me è successo di dover fare tagli per i miei film in distribuzione nei paesi arabi, era la conditio si ne qua non per farli uscire. Del resto anche in occidente esiste la censura: se vai contro l’establishment politico e culturale finisci rapidamente per essere emarginato.

A proposito di censura. Nel suo film “Noi del jazz” – un film pe-perestrojka – viene mostrato come in epoca sovieica la nomenklatura non amasse particolarmente questa musica. Ebbe dei problemi per questo?

Nessun problema. E’ vero che in epoca sovietica soprattutto dagli anni ’30 agli a’50 ci fu da parte del PCUS una certa antipatia per il jazz ma alo sesso tempo i grupi jazz esistevano, non ci fu mai il divieto formale di fare jazz. Diciamo che non era benvenuto come del resto avvenne poi con il rock negli anni ’60 e ’70. A questo proposito nell’occidente si sono imposti del cliché a questo proposito, le cose erano più complesse.

Come pensa del cinema italiano?

La mia generazione di registi e anche quella sovietica precedente hanno un grande debito per il cinema italiano del secondo dopoguerra…

L’accusano spesso di essere un “regista sovietico”…

Non mi da fastidio anzi ne vado orgoglioso…comunque io mi sono formato con il cinema italiano. Felino è per così dire è stato mio mentore. Ho visto molte volte i suoi film e ho imparato tanto da lui. Per me fu un grande onore conoscerlo e stagli vicino durante una edizione del festival del cinema di Mosca del 1987. Io avevo ricevuto il premio speciale della giuria con il film “Il corriere” (Kur’er) e lui il primo premio per L’intervista. Eravamo in piena perestrojka e c’era un grande interesse, erano venute stars da tutto il mondo il presidente della giuria era Robert De Niro. Per me il cinema italiano degli anni ’50-’70 si può paragonare al Rinascimento per bellezza e spessore. Per me il cinema italiano di quell’epoca è stato il creativo di quell’epoca su scala mondiale. Ho amayo molto anche Visconti, Antonioni e Pasolini. Tra l’altro il mio film Palata n.6 (Casa n.6) che sono riuscito a realizzare solo nel 2009 avrebbe dovuto essere interpretato da Marcello Mastroianni. Stemmo insieme un mese e mezzo a Roma per preparare le scene e ebbi una grande impressione dell’uomo e dell’attore. Purtroppo poi la cosa non andò in porto per divergenze con il produttore italiano.

Oggi purtroppo il cinema italiano è lontano quelle vette…

Credo che i cineasti italiani non riescano a raccontare l’Italia come un tempo. Forse Giuseppe Tornatore che è rimasto sulla scia dei “classici”. Il problema mi sembra legato anche alla fase storico-politica. Il cinema italiano era di sinistra. Forse con l’eccezione tra i grandi di Zeffirelli era un cinema orientato a sinistra, quando non era apertamente comunista. L’interesse per la condizione umana e dei poveri era il suo orizzonte. Purtroppo nella fase attuale la sinistra è in ritirata e non solo in Italia. Ma credo che sia una cosa temporanea, le idee di sinistra non muoiono e tornaranno prima o poi a essere emegomi e con loro ritornerà il grande cinema. Il capitalismo sa solo contare i soldi non può fare arte: l’arte resta per sua natura di sinistra.

NOTA BIOGRAFICA

Karen SHAKHNAZAROV

Dopo l’esordio con I buoni (Dobrjaky,1979) Karen Shakhnazarov conosce il grande successo, anche internazionale con Noi del jazz (My iz Dzaza,1983). Il successivo Sera d’inverno a Gagri (Zimnij vecer v Gagrakh, 1985), anch’esso un musical, non ottiene però lo stesso successo. Che invece arriva con Il Corriere (Kur’er, 1986) a cui viene assegnato il premio speciale della giuria al festival del cinema di Mosca del 1987. Kur’er è una delicata e ironica vicenda di un adolescente nel periodo della perestrojka che riesce a piacere sia al pubblico sia alla critica. Nel 2008 Shakhnazarov dedicherà un altro film ai turbolenti anni della gioventù: si tratta di L’impero eclissato (Išceznuvsaja Imperija, 2008) ambientato però questa volta nel periodo della stagnazione brezneviana e interpretato da un convincente Aleksandr Ljapin. Con un montaggio alternativo il film tornerà poi nelle sale nel 2012 con il titolo L’amore in Urss (Ljubov’ v SSSR).

Surreale e fantasmagorico è invece il bellissimo Città zero (Gorod zero, 1988) in cui lo scrittore Sergej Kara-Muzra ha voluto vederci un’allegoria sul crollo dell’URSS. La figlia americana (Amerikanskaja Doč, 1996) è un dramma girato tutto negli Usa che riscontrò un buon successo ai botteghini. Alcuni giornalisti lo hanno definito un film autobiografico, ma l’autore ha sempre negato tale circostanza. Con Reparto 6 (Palata n.6, 2009) il cineasta russo-armeno affronta il tema della malattia mentale e del sottile confine che divide le categorie sociali della normalità e dell’anormalità. Nel 2012 Shakhnazarov esordisce nel cinema d’azione con La tigre bianca (Belij Tigr) onirico film a mezza via tra rimandi geopolitici e riflessioni filosofiche. E nel 2017 gira la sua prima pellicola nel mondo dei serial con la trasposizione televisiva di Anna Karenina andata in onda nel palinsesto Rossija in 4 puntate. Il film è poi stato presentato anche nei cinema in versione ridotta. Completano la filmografia di Shakhnazarov L’uccisione dello zar (Zareubiyza,1991) con Malcolm McDowell, Sogni (Sny,1993), Il giorno della luna piena (Den’ polnoluna, 1998), Veleni, o la storia mondiale dell’avvelenamento (Ady ili vsemirnaja istorija otpravlenij, 2001), Un cavaliere di nome morte (Vladmik po imeni smert’, 2004).

Apparso per laprima volta su Alias in 29 giugno 2019.