Intervista esclusiva di Yurii Colombo
Valerij Todorovskij (Odessa, 1962) è oggi in Russia uno dei cineasti più conosciuti ed apprezzati. Valerij è figlio d’arte di Petr, candidato al premio Oscar per la regia del film Romanzo del tempo di guerra nel 1985 ma he sbancт letteralmente i botteghini russi con il melodramma Interdevucka (1989) in cui si narrano le peripezie di una giovane prostituta attiva negli hotel per stranieri nel periodo della Perestrojka. Todorovskij junior ha seguito un percorso tutto suo cimentandosi non solo nella regia, ma anche nel montaggio, nella sceneggiatura e nella recitazione. Si fa notare per la prima volta nel 2004 con Moj svodnij brat Frankenshtein (Il mio fratellastro Frankenstein) una delicata ballata pacifista nella Russia contemporanea a cui fa seguito Stiliagi (2008) un musical sull’unica originale subcultura giovanile del Secondo dopoguerra made in Urss. Nel 2013 esordisce nella serial televisivo con Ottepel’ (Disgelo) un melodramma in sedici puntate dentro il mondo Mosfilm negli anni del kruschevismo. Riuscitissimo è anche Bolscioj (2017) sulle durezze del mondo del balletto, doppiato e presentato a suo tempo anche in lingua italiana, mentre è in uscita per questo inverno Gipnoz (Ipnosi). Come produttore ha firmato il serial per il primo canale Bomba, sulla realizzazione del primo ordigigno atomico sovietico nel 1949, andato in onda nel novembre 2020 che è avuto un’ottima accoglienza del pubblico russo. In una bella mattinata moscovita, lo abbiamo incontrato per una intervista a tutto campo.
Valerij, cosa ha significato per lei nascere in una famiglia dove si respirava l’aria della fiction?
Sono nato e vissuto in una famiglia dove tutti erano impegnati nel cinema. Papа era regista, mamma un ingegnere ma presto passò anche lei al mondo della celluloide e fu sceneggiatrice e produttrice. Vivevamo a Odessa dove mio padre frequentava gli studios della città. Anche io sin da piccolo volevo essere parte di quel mondo ma non sapevo bene come fare. Comunque frequentai la scuola di sceneggiatura quando ci trasferimmo Mosca. E appena ebbi la possibilità diressi un film. Per me non esiste una vera separazione tra la mia vita privata e il cinema. E mi sembrerebbe veramente strano trovarmi in qualche altro mondo che non fosse questo.
Quando ho intervistato il regista e presidente della Mosfilm Shakhnazarov egli ha sostenuto che è esistito un cinema sovietico ma il cinema russo ancora non si è definito, è ancora in fasce. Lei è d’accordo?
No, non sono d’accordo. Penso che esista un buon cinema russo. È come dire non c’è il football russo. Esiste non sarà il migliore del mondo, ma esiste. Dopo il crollo dell’Urss è stato difficile definirne i propri caratteri. Nell’Urss esisteva un cinema autarchico, non inserito nel contesto mondiale: lo Stato decideva quali film produrre, quante copie farne circolare, in quali sale. Insomma non c’era mercato. Il cinema russo nel nuovo contesto si trovò a dover concorrere con il cinema hollywoodiano e fu drammatico perché nessuno era pronto a uno simile shock.
Ora possiamo dire che esiste un cinema russo: ci sono autori, ci sono idee, ci sono festivals. Forse non quanti sarebbe possibile, ma ci sono. Certo si producono solo un certo numero di film buoni ogni anno ma è forse diverso in Francia o in Italia o perfino negli Usa?
Partiamo svantaggiati, la crisi economica e sociale degli anni ’90 fu un uragano anche nel cinema, le sale si trasformarono in negozi di mobili, si dovette re-iniziare da zero. Ma ai russi piace il cinema: da qualche parte ho letto recentemente che in termini assoluti, in termini di fatturato il cinema russo ha superato perfino quello tedesco, è diventato il numero uno in Europa. La Russia ha una sua industria cinematografica che nel suo mercato interno riesce a confrontarsi con i film che arrivano dall’America. È qualcosa che forse avviene solo in Francia in Europa e in Asia in India e in Cina.
Quale ruolo gioca lo Stato finanziariamente nel cinema russo?
Gioca un ruolo gigantesco. Tradizionalmente è così, il cinema russo è stato sempre sussidiato.
Non ci sarebbe stato nuovo cinema russo dopo la crisi degli anni ’90 senza l’aiuto dello Stato quando il cinema qui si era letteralmente inabissato. Lo Stato russo ha l’ambizione di avere un suo cinema e visto che i budget russi e americani non sono paragonabili senza lo Stato non si sarebbe potuto fare nulla. Tuttavia penso che nel giro di dieci anni il ruolo del ministero della cultura potrebbe ridursi, limitarsi solo al sostegno del cinema d’autore.
Ma ciò non fa si poi che lo Stato russo voglia controllare ideologicamente gli autori? A Hollywood non hanno mai avuto problemi a finanziare anche il cinema anti-establishment…
Certo lo Stato vorrebbe controllarci, indirizzare le nostre scelte ma noi proviamo a spiegare alle istituzioni che non ci deve controllare. Si tratta di un processo non facile e non concluso, ma posso dire che io in quanto regista prendo i soldi dallo Stato solo se resto libero. Se capissi che verrei pesantemente condizionato, li rifiuterei. E siamo in tanti tra i cineasti a pensarla così. Se guardiamo il cinema russo degli ultimi anni vediamo che ci sono alcuni film fortemente anti-establishement, film onesti. Film come Durak di Iurij Bykov solo per fare un esempio.
In Russia,verso le arti in generali esiste un approccio paternalistico. Lei è stato criticato perchй nel suo serial Ottepel’ mostra gente che fuma continuamente. A volte sembra che nel cinema russo sia difficile parlare di argomenti come le droghe o l’omosessualità…
Anche in America, la realtà all’estero che conosco meglio, ci sono delle regole molto precise, forse più dure di quelle russe. Viene definito in modo netto a quale ora e quale canale si possono vedere certe cose. Qui in Russia si cerca di limitare la comunicazione su certi argomenti tabù. A me sembra una cosa idiota. Ora si sono imposte nuove limitazioni legislative. A me non piacciono ma credo si potrà trovare un compromesso nell’affrontare il problema. Il mio Ottepel’ alla fine riuscì ad andare comunque sul primo canale in prime time.
Mi sembra che lei svari molto tra vari generi. Mi sembra che sia sempre alla ricerca di nuove sfide, di nuove avventure artistiche…
Non ci ho mai pensato razionalmente, ma sì mi piace sperimentare, provare a fare generi diversi. Ho fatto film diversi: drammi melodrammi, thriller, musical… Si dice che i registi si dividano in due categorie. Quelli come Woody Allen che girano sempre lo stesso film (anche se poi negli ultimi anni anche lui ha diversificato la sua produzione) e chi fa film sempre diversi. Ecco io faccio parte della seconda categoria… A me piace cambiare attori. Ho fatto anche un musical, Stliagi (“I modaioli”) in cui parlo di un fenomeno tutto russo, una moda giovanile in cui i protagonisti ascoltavano solo jazz americano, in particolare Charlie Parker, ma che dovevo proporre per un pubblico russo contemporaneo e per cui abbiamo dovuto giustamente lavorare su musiche e testi russi. Una sincronizzazione che presentava i suoi problemi ma che credo di essere riuscito a risolvere per il meglio.
Un frame di Bolshoj
Nel cinema internazionale chi le piace di più e chi ha avuto maggiore influenza sulla sua arte?
Sicuramente il cinema americano degli ’70-’80. I giovani Scorsese e Coppola, Sam Peckinpah. Era un cinema che allora era molto difficile vedere in Urss e forse per questo vi sono rimasto legato. Ho amato molto anche Bob Fosse e sin da allora iniziai a sognare di fare un musical.
E per quanto riguarda il cinema italiano….
Mio padre amava molto il cinema italiano, Fellini… Antonioni… era un uomo degli anni Sessanta. Conobbi allora il cinema italiano ma per me era un cinema troppo “alto”, io avevo bisogno di qualcosa di più energetico.
Lei ama il format delle serie?
Sì credo che sia un format molto valido in particolare per il genere drammatico, un genere che oggi viaggia meglio sullo schermo di casa. Al cinema ora gli spettatori cercano l’evasione, gli effetti speciali, oppure la commedia. Io come fruitore ma anche come professionista vedo che molti registi, produttori e attori si sono rivolti al serial perché è lo spazio in cui si possono realizzare delle idee di respiro.
Sul set di Stiljagi
Tuttavia spesso dopo la prima serie, le stagioni successive non si dimostrano all’altezza…
Non è un vero problema, si tratta di business. Io se capisco che sequel non ha nulla dire, smetto di guardarlo: continuate pure a fare soldi senza di me. Ma per esempio la serie Six feet hunter è durata cinque stagioni ed è stata bellissima dall’inizio alla fine. Sembrava di leggere Guerra e pace, un grande romanzo in più volumi. Anche le prime tre delle sette serie dei Soprano secondo me sono di alto livello. Il problema vero è che ci sono pochi registi bravi. Quali sono le serie veramente belle italiane? Io non le conosco tutte ma mi sembra che come Gomorra ce ne siano poche.
Lei ha affermato che è ormai tempo che il cinema russo inizi a raccontare gli anni ’90, gli anni della transizione: la mafia nelle strade, la scoperta del “mondo fuori”, i soldi facili ma anche la grande miseria…
Penso che questo tempo sia arrivato. Finora era difficile raccontare quel periodo perché i protagonisti non volevano parlarne, la gente voleva dimenticarlo e il business non voleva entrare in campo minato.
Penso però che il tempo abbia lenito le ferite e una delle sceneggiature su cui sto lavorando parla propri degli anni ’90. Verranno fuori delle grandissime opere su quel periodo, ne sono sicuro. Penso che gli anni ’90 siamo il periodo più importante della mia vita, e provo a spiegarle il motivo.
Per mio padre e la sua generazione l’avvenimento principale era stata la guerra e la loro arte ne fu segnata. La mia generazione ha vissuto in tre paesi: in Urss, nel paese della transizione dei ’90 un periodo di incredibile libertà, un’epoca senza leggi ma segnata dall’emergere di grandi speranze. Scoprimmo allora quel mondo al di fuori dell’Urss che ci era stato precluso per decenni. E poi il terzo periodo, quello della nuova Russia, quello della stabilizzazione. Ma per noi quella Russia di mezzo è stata decisiva.
Qual è il suo prossimo film in uscita?
Si intitola Ipnosi e sarà nelle sale a partire da ottobre. È un thriller il cui protagonista sarà un adolescente che cade in ipnosi e inizia a frequentare degli ipnotizzatori. Non dico di più perché spero che la pellicola arrivi anche in Italia.