Arrigo Cervetto – La vera spartizione (1968)

La crisi cecoslovacca ha condotto giornali, partiti e gruppi a parlare di “divisione del mondo” tra Russia e America. Occorre analizzare da un punto di vista di classe e rivoluzionario quale è la vera natura di questa divisione, poiché è proprio su questa concezione che si vanno ponendo le basi del socialimperialismo europeo, di cui il PCI è un esempio.

L’analisi marxista della politica internazionale deve fondarsi sull’analisi dei rapporti reciproci dei vari Stati e gruppi di Stati e non sulle loro ideologie e sulle loro propagande. L’insieme di questi rapporti fornisce il quadro generale dell’attuale fase imperialistica nei suoi aspetti specifici, quadro entro il quale deve essere vista la politica imperialistica di una potenza come quella russa nei riguardi dell’area economico-sociale e politica dell’Europa Orientale.

Vedremo in seguito come si svolge particolarmente la politica imperialistica russa in quest’area. Per ora vediamo in quale altra serie di rapporti internazionali si colloca la azione dell’URSS. In primo luogo, nei rapporti con gli Stati Uniti. Nel corso della seconda guerra mondiale imperialistica si è stabilita una poderosa alleanza USA-URSS che di fatto dura tuttora. Quando affrontiamo il problema di definire questa oggettiva alleanza dobbiamo, come prima cosa, sbarazzare il terreno da ogni elemento sovrastrutturale, ideologico, giuridico; dobbiamo, cioè, sapere individuare nella selva di elementi ideologici, le tendenze oggettive che regolano i rapporti tra queste due potenze imperialistiche e la natura specifica della loro alleanza. Certamente questa alleanza, come ogni alleanza imperialistica, non è un idillio: ha avuto ed hai suoi momenti di tensione e le sue oscillazioni, ma anche nelle sue maggiori frizioni non è mai giunta all’orlo della rottura.
E’ incomprensibile la storia di questi ultimi venticinque anni se non si tiene presente questo dato oggettivo che è diventato ormai lampante e addirittura teorizzato nella ideologia della “coesistenza pacifica”. Meno chiaro era ovviamente, nel periodo della cosiddetta “guerra fredda”, ma anche allora era un profondo errore di analisi marxista, che finiva col deformare tutte le prospettive della strategia rivoluzionaria, non vedere che la ” guerra fredda ” non poteva rompere la alleanza oggettiva USA-URSS e tanto meno poteva condurre ad un loro conflitto.

Le tendenze che portano ai conflitti imperialistici sono tendenze oggettive e rispondono a reali ed inarrestabili esigenze fondamentali del sistema capitalistico.

La politica estera degli Stati corrisponde a queste esigenze: vi corrisponde più o meno bene e il grado di corrispondenza è l’effettivo margine di lotta politica tra le varie frazioni della classe dominante, ma vi corrisponde.

Se noi analizziamo queste tendenze fondamentali operanti nel capitalismo statunitense e nel capitalismo russo, troviamo che nessuna di queste ha agito nel senso di poter determinare una guerra russo-americana nel secondo dopoguerra. In primo luogo, i rapporti di forza, i rapporti di forza militare, cioè i rapporti di “potenza economica”, tra i due imperialismi erano e sono, troppo sproporzionati per costituire un fattore di guerra. Se la guerra imperialista è lotta per la ripartizione del mercato mondiale, gli obiettivi raggiungibili dalla ” potenza economica ” statunitense lo potevano essere senza una eccessiva opposizione russa, poiché in pratica la concorrenza russa, e quindi la sua effettiva capacità di incidere sul mercato o di volere una maggiore parte nella suddivisione, non era e non è tale da intralciare gli Stati Uniti.

Non si vede perché gli Stati Uniti dovevano, e devono, fare una guerra contro l’URSS per ottenere quello che possono ottenere senza eccessiva lotta. La lotta imperialistica diventa conflitto armato quando i rapporti tra due o più potenze creano una situazione sul mercato mondiale, e nel loro mercato interno, che non permette all’una o alle altre di avvantaggiarsi nei confronti dell’antagonista.

In termini militari questa situazione si esprime in un equilibrio relativo di forze, mai in una accentuata sproporzione. In quest’ultimo caso la potenza fortemente svantaggiata ha già perso il confronto con la potenza fortemente avvantaggiata, e lo ha già perso sul piano della concorrenza economica e finanziaria e senza bisogno di affrontare una guerra militare. E’ una potenza imperialistica in decadenza che ha perso la guerra economica, oppure è una potenza imperialistica in ascesa che non può ancora vincere la guerra economica e deve attendere per poterlo fare, deve ancora svilupparsi, deve prendere tempo. L’URSS si trovava, e si trova, in quest’ultima posizione e quindi non aveva e non ha alcun interesse oggettivo ad un confronto militare con gli USA da cui sarebbe uscita ed uscirebbe perdente.

Si può determinare, comunque, un’altra situazione per cui un imperialismo forte è portato ad un confronto militare con un imperialismo più debole nel caso che questi voglia conservare o pretendere posizioni che non corrispondono alla sua effettiva forza. E’ una situazione in cui sono in movimento altre potenze imperialistiche che, in un modo o nell’altro, appoggiano l’imperialismo più debole contro l’imperialismo più forte per indebolire questo ultimo e rafforzarsi a loro volta di conseguenza .

In questa situazione si determina uno schieramento di forze ed un sistema di alleanze imperialistiche il cui risultato sarà, in termini militari, un equilibrio relativo di forze per cui la guerra militare diventa possibile perché offre finalmente delle concrete possibilità per i contendenti di poter modificare l’assetto precedente della ripartizione del mercato mondiale, modificazione resa ormai impossibile con le battaglie della guerra economica. Neppure quest’ultima ipotesi può essere indicata come possibile nei rapporti USA-URSS del secondo dopoguerra.

Solo una ipotesi può essere formulata per un attacco militare statunitense all’URSS nell’immediato dopoguerra: togliere all’URSS l’Europa Orientale. Vedremo in seguito come anche questa ipotesi non avesse ragioni oggettive di esistenza.

Formuliamo tutta questa serie di ipotesi per dimostrare come la prospettiva della guerra USA-URSS formulata dal 1947 al 1952-53 da alcuni gruppi era una astrazione ideologica e non il risultato di una analisi marxista: mancando l’applicazione della scienza marxista, mancava di conseguenza una strategia sulle prospettive della lotta rivoluzionaria e sul comportamento tattico del proletariato rivoluzionario.

Mancando una chiara visione strategica mancava, perciò, un vero partito rivoluzionario, poiché si può definire partito rivoluzionario solo quell’organismo politico che oggettivamente agisce nel processo delle leggi di movimento della società perché coscientemente ne conosce lo sviluppo, ne segue il corso, ne anticipa gli sbocchi e regola tutte le sue azioni tattiche in un determinato coordinamento o, per meglio dire, su coordinate prospettiche.

Per illustrare la nostra tesi sulla impossibilità oggettiva di una guerra USA-URSS, tesi che ovviamente sta al centro di una determinata concezione strategica poiché la prospettiva di una guerra di quel tipo determinava di per sé un comportamento specifico in chi la intravedeva formuliamo pure l’ipotesi di un attacco statunitense all’URSS nel primo decennio del dopoguerra. Data la sproporzione di forze tra gli USA e l’URSS l’obiettivo di questo attacco non poteva consistere esclusivamente nell’abbattimento della potenza russa ma doveva necessariamente estendersi all’abbattimento delle risorgenti potenze europee e all’accaparramento del loro mercato naturale dell’Europa Orientale e balcanica, strappato all’URSS. Questa ipotesi era oggettivamente possibile, ma ad una condizione: che il conflitto non fosse ristretto agli USA ed all’URSS ma che riguardasse gli USA, da un lato, e l’URSS e le potenze europee, o alcune di esse, dall’altro, cioè una guerra America Europa.

In nessun caso, potenze risorgenti, anche se a diverso grado, come la Francia e la Germania, avrebbero permesso una conquista americana dell’Europa orientale e balcanica ed un forte ridimensionamento della potenza russa, perché ciò avrebbe rappresentato un totale dominio dell’Europa da parte degli USA ed il rinvio per una serie consistente di cicli economici, almeno 3050 anni, della possibilità di poter avvicinare la potenza economica dei vari imperialismi europei alla potenza economica americana. L’alleanza con l’URSS sarebbe stata perle potenze europee (specie per la Germania e, in secondo luogo, per la Francia) un atto naturale di sopravvivenza. E questo era ben presente alla politica estera staliniana la quale, sullo sfondo dell’alleanza con gli USA stabilita ad Yalta, si è sempre lasciata aperta l’alternativa “europea” e “tedesca”. Sul piano ideologico tale alternativa si esprimeva nella propaganda rivolta alle”borghesie nazionali” europee contro lo “sfruttamento coloniale” dell’imperialismo americano.

è inutile aggiungere che questa alternativa per l’URSS rimane sempre valida ed aperta e ciò corrisponde alla logica imperialistica che si sviluppa in più direzioni e che deve tener conto di uno scacchiere in cui operano più forze imperialistiche e non solo due.
Le ragioni oggettive dell’alleanza USA-URSS
La nostra tesi sull’impossibilità oggettiva della guerra USA-URSS tiene presente tutte le forze imperialistiche, ma considera che nel ventennio scorso il grado di sviluppo di una serie di potenze europee (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia) e asiatiche (Giappone) non; permetteva loro un ruolo relativamente autonomo: questa considerazione è, per lo meno, valida per il primo decennio dal 1945.

Le due potenze effettive rimanevano USA e URSS e queste non avevano contrasti fondamentali e vitali nel loro rapporto. Un contrasto fondamentale e vitale esisteva, ed esiste, tra le potenze europee, specie la Germania, e l’URSS: l’Europa Orientale e balcanica, oggetto permanente di lotta tra Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Russia in tutto l’Ottocento capitalistico e in tutto il Novecento imperialistico, lotta che è già sfociata in due guerre mondiali. A conclusione della seconda guerra mondiale imperialistica, che sanciva la sconfitta del piano tedesco di creare un suo impero orientale, tutta l’area in questione cadeva sotto il dominio russo.

E ciò corrispondeva ai rapporti di forza intercorrenti tra l’accresciuto imperialismo russo e gli sconfitti imperialismi europei, cioè al rapporto URSS-Europa, anche se corrispondeva meno ai rapporti di forza URSS-America.

Il più colpito rimaneva indubbiamente l’imperialismo tedesco, ma danneggiati ne risultavano pure gli imperialismi inglese, francese ed italiano, seppure in modo differenziato e minore. La divisione della Germania, attuata principalmente dagli USA e dall’URSS e secondata dalla Gran Bretagna e dalla Francia, veniva a favorire, innanzitutto, le due superpotenze ma pure la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia che ritrovavano un equilibrio nel loro rapporto reciproco di a seconde potenze “, equilibrio che non si è sostanzialmente alterato in un ventennio.( Sul totale del Prodotto Nazionale Lordo dei paesi dell’OCDE, per il 1966, la Germania Occidentale incide per 1’8,5% circa, la Gran Bretagna per il 7,8%, la Francia per il 7,6%, l’Italia per il 4,5%, mentre gli Stati Uniti incidono per il 54% ed il Giappone per il 7%; tre considerazioni: 1) Gran Bretagna” Germania Occ., Francia sono equilibrate sul 78% e su di un P.N.L. di 101)120 miliardi di dollari,
2) una Germania unificata arriverebbe sui 150′ miliardi di dollari del P.N.L. e cioè arriverebbe a superare di circa il 50% sia la Gran Bretagna che la Francia,
3) Gran Bretagna, Germania Occ., Francia e Italia assieme arrivano al 28,4% del P.N.L. dell’OCDE.
Ma se le due superpotenze, con la divisione tedesca, equilibravano i rapporti tra le “seconde potenze” europee, non potevano cancellare il comune interesse di queste all’Europa Orientale e balcanica e, tanto meno, eliminare il danno, derivato loro dal fatto che l’intera zona fosse andata in mano ad una sola potenza, l’URSS, che in questo modo era diventata la superpotenza continentale. Per impedire che lo diventasse la Germania, nella prima e nella seconda guerra mondiale Gran Bretagna e Francia si allearono con la Russia. Oggettivamente Gran Bretagna, Francia e Germania Occ. avevano ed hanno interesse a togliere o a ridurre l’area orientale e balcanica in mano russa, per procedere ad un altro tipo di ripartizione in cui la loro forza economica, sostanzialmente equivalente, possa pesare in modo proporzionale.

Ma questo comune interesse, a cui si collega quello italiano, urta contraddittoriamente con l’interesse inglese, francese ed italiano (che in questo caso combacia con quello americano e russo) a non volere un rafforzamento tedesco che vada oltre il loro parallelo rafforzamento e, cioè, a non volere l’unificazione tedesca che farebbe compiere un rapido balzo alla Germania.

Qui sta una delle principali contraddizioni nei rapporti delle potenze imperialistiche europee, che gioca a favore degli USA e dell’URSS, che frena il loro blocco, che ne paralizza l’espansione nell’area orientale e balcanica e che permette una libertà d’iniziativa militare all’URSS.

Ma le tendenze di sviluppo negli imperialismi europei vedono, da un lato, la decadenza inglese e francese e, dall’altro, l’ascesa tedesca ed italiana e ciò significa che: 1) Le proporzioni tra Gran Bretagna, Francia e Germania sono destinate a modificarsi a svantaggio delle prime due, 2) i capitalismi nord-europei ed europei meridionali gravitano sempre più attorno al centro tedesco e, subordinatamente, al centro italiano, 3 ) ciò costringe Gran Bretagna e Francia ad appoggiarsi al centro tedesco, in condizione di compartecipanti alla tendenza di sviluppo imperialistico poiché le due alternative che hanno (dissociarsi e frenare la forza centripeta tedesca oppure appoggiarsi maggiormente agli USA o all’URSS) ridurrebbero fortemente la loro potenza e le condurrebbero alla loro pratica liquidazione come potenze imperialistiche.

In Europa USA e URSS non hanno contrasti di fondo
Negli anni ’50 la possibilità di una guerra contro l’URSS poteva quindi consistere solo nell’appoggio degli Stati Uniti alla Germania Occ., alla Gran Bretagna e alla Francia, o solo alla prima, per la riconquista dell’Europa Orientale e Balcanica. Ma in questo caso, se Stati Uniti (potenze europee fossero stati d’accordo su questo obiettivo non vi sarebbe stato bisogno di guerra perché l’URSS avrebbe ceduto con previsione degli accordi di Yalta, su accordi precisi vi erano stati, o arretrando in pratica, dalla Cecoslovacchia ad esempio. Non si riescono però a vedere gli interessi oggettivi che dovevano portare gli Stati Uniti ad appoggiare gli interessi europei, cioè a rafforzare Gran Bretagna, Francia e Germania a scapito della Russia. Infatti non c’erano, non ci sono e non ci saranno finché la Russia non si alleerà con un blocco di potenze asiatiche, di cui oggi, solo il Giappone può costituire un componente apprezzabile sulla composizione di uno schieramento abbastanza equilibrato. (Europa + Stati Uniti superano largamente URSS + Asia).

Proseguiamo ancora nelle varianti della ipotesi della guerra anti URSS degli anni ’50 e non tanto per una esercitazione sui “se” storici, che da un punto di vista marxista non ha alcun valore, quanto perché ci permette di delineare il quadro dei rapporti interimperialistici attuali nel loro divenire e di mettere a fuoco tutte le loro contraddizioni.

Supponiamo la variante di un appoggio USA alla Germania Occ. contro l’URSS per l’Europa Orientale e danubiana, ma con un sostanziale disaccordo inglese e francese. Gran Bretagna e Francia sarebbero rimaste neutrali, avrebbero frenato l’appoggio USA o avrebbero potuto allearsi all’URSS la quale, in questo modo, avrebbe potuto resistere maggiormente alla revisione di Yalta ma, in definitiva, avrebbe dovuto cedere perché il sostegno anglo francese non poteva essere determinante.

E per quanto si introducano nel rapporto USA-URSS ipotesi di guerre non si riesce a trovarne le ragioni oggettive. In Europa, Stati Uniti e Russia non avevano e non hanno, contrasti di fondo. Ne avevano e ne hanno in Asia, in Africa, nel Medio Oriente, ma in Europa no.

Chi li ha concepiti, e li concepisce in Europa, non può essere un marxista perché ha concepito e concepisce che sia sparita una realtà storica, sociale, politica: l’imperialismo europeo.

Questa realtà sparirà solo con una rivoluzione socialista, non con una guerra imperialista. I dirigenti imperialisti statunitensi lo sapevano bene. Sapevano che in dieci anni gli imperialisti europei avrebbero ricostruito il loro potenziale e che in venti anni lo avrebbero raddoppiato o triplicato. Nessuna potenza imperialista al mondo avrebbe potuto impedirlo, poiché una tale potenza imperialistica non è mai esistita e mai esisterà se non nella fantasia “superimperialistica” di un Kautsky o di un qualche volgare ideologo piccolo borghese e contrabbandiere dell’antimperialismo a senso unico. E quello che sapevano i dirigenti imperialistici dovevano e devono saperlo i rivoluzionari se vogliono essere tali e se vogliono conoscere come funziona il nemico che devono combattere a fondo nei fatti e non nelle parole.

La stessa realtà dell’economia mondiale, in tutta la sua rete commerciale, che permetteva agli Stati Uniti e all’URSS di svilupparsi, avrebbe permesso inevitabilmente all’Europa imperialistica di ricostruirsi e di rafforzarsi. Era una questione di cicli economici. O i cicli si interrompevano ed avevamo crisi gigantesche del capitalismo che avrebbero colpito principalmente gli Stati Uniti e l’URSS, le due “superpotenze” vincitrici, o i cicli si compivano e accanto alla potenza americana e russa sarebbe riapparsa quella europea e, assieme a questa, sarebbero riapparsi tutti i problemi che avevano prodotto la seconda guerra mondiale e che erano stati dilazionati ma non risolti. Il primo problema a riapparire sarebbe stato inevitabilmente quello dell’Europa Orientale e Balcanica. L’unica potenza che avesse nel passato cercato di risolverlo a suo vantaggio, avendone tutta la capacità industriale, era stata la Germania. Gli Stati Uniti appoggiarono i nemici della Germania per impedire che questa diventasse una grande potenza europea e quindi mondiale, realizzando con mezzi militari l’unificazione del capitalismo europeo sotto la sua egemonia.

Gli usa contro una superpotenza europea
L’unificazione del capitalismo europeo era, ed è, la più grande minaccia alla supremazia americana perché un grande imperialismo europeo, inglobante come nel piano tedesco una parte dell’URSS, ha la forza di fare una fortissima concorrenza agli USA non solo nel Medio Oriente e in Africa ma pure in Asia e in America Latina.

Con questo non si vuol dire che i gruppi imperialistici europei non possano fare concorrenza all’imperialismo americano: l’hanno fatta e la fanno.

Si vuole semplicemente dire che un più alto grado di concentrazione dei gruppi europei, con il conseguente grado di unificazione a tutti i livelli commerciali, doganali, politici, militari, moltiplica la capacità di concorrenza sul mercato mondiale. Ma tutto questo movimento imperialistico se dal lato politico prende gli aspetti di Stati nazionali o regionali, dal lato economico non rappresenta altro che un processo di internazionalizzazione del capitale. La concorrenza imperialistica diventa la concorrenza sul piano mondiale di gruppi altamente internazionalizzati, i quali, a questo fine, utilizzano gli Stati nazionali e possono giungere ad unificarli, in forma federale o unitaria, in Stati supernazionali.

La dinamica degli Stati corrisponde ai movimenti di fondo del capitale internazionalizzato e quindi anche le tendenze storiche della politica mondiale degli Stati deve corrispondere allo sviluppo storico della struttura capitalistica.

Ciò spiega le costanti della politica mondiale statunitense. Da quando gli Stati Uniti si posero, all’inizio del nostro secolo, alla testa delle potenze industriali il loro interesse fondamentale fu quello di rimanervi poiché questa posizione permette loro di avere un maggior peso nella ripartizione del plusvalore mondiale. Eppure, per parecchi anni ancora, negli Stati Uniti vi sarà una forte incidenza di investimenti stranieri, specie inglesi, come del resto in parte vi è ancora oggi. Nessun marxista si sognava allora di dire che gli Stati Uniti erano una a colonia inglese ” per il fatto che vi erano forti investimenti inglesi, come invece oggi dell’imperialismo europeo dicono che è una ” colonia americana ” perché ci sono forti investimenti americani, maoisti e castristi, marxisti a parole, borghesi nei fatti. Da quando gli Stati Uniti sono la prima potenza industriale, hanno orientato la loro politica estera al fine di impedire che si formasse una potenza che li tallonasse o li superasse e quindi hanno lottato contro ogni tentativo di formazione di un grande Stato che abbia basi industriali.

Per l’America Latina questo pericolo non sussisteva e attualmente non sussiste, anche se politicamente questo Stato esiste con gli Stati Uniti del Brasile.

Possiamo dire perciò che il pericolo per gli Stati Uniti esiste soltanto in una prospettiva lontana, per quanto riguarda l’America Latina.

Per l’Africa e il Medio Oriente, neppure questa lontana prospettiva può allarmare la politica americana e, qualora, sorgessero grossi Stati africani e mediorientali non potrebbero ancora colpire oggettivamente gli interessi vitali dell’imperialismo americano.

Poiché di interessi vitali stiamo trattando, cioè di quegli interessi che una volta colpiti porterebbero inevitabilmente l’imperialismo americano alla decadenza o allo sfacelo a beneficio di altri imperialismi e non come dicono alcuni, a beneficio dei socialismo, perché senza la rivoluzione proletaria internazionale contro tutti i gruppi imperialistici la decadenza di un imperialismo significa l’ascesa di altri. Individuare gli interessi dell’imperialismo americano significa, perciò, individuare i punti fondamentali sui quali la potenza americana arriva allo scontro militare e non può fare ritirate parziali. I due punti fondamentali sono l’Europa e l’Asia e non perché la vita o la morte degli Stati Uniti si giochino in questi due continenti e neppure perché in Europa o in Asia gli USA abbiano capitali da perdere (come se un capitale internazionalizzato potesse essere vanificato non dalla crisi ma dalla concorrenza!), ma perché è proprio l’Asia e l’Europa che sono in grado di partorire quei grossi Stati imperialisti che possono strappare l’egemonia americana negli altri continenti, ridurre la potenza americana nei mercati che la sostanziano, asfissiarla lentamente, trascinarla alla decadenza.

Le due guerre mondiali imperialiste, da un punto di vista americano, rappresentano il tentativo di impedire la formazione di una forte potenza oggettivamente anti americana. Ciò spiega perché nella prima come nella seconda guerra gli Stati Uniti si schierano contro la Germania e si alleano, oltre che con la Gran Bretagna e la Francia, con la Russia .

Il ruolo frenante dell’Europa orientale
Per l’Asia la situazione era più semplice: solo con la seconda guerra mondiale il Giappone rappresenterà il concorrente più pericoloso e in grado di egemonizzare l’Asia e di intaccare gli interessi vitali americani. Contro il Giappone, non a caso, sarà concentrato il massimo sforzo americano. Sconfitto il Giappone, non ci saranno altri concorrenti e l’appello nipponico sarà rovesciato: “l’Asia agli Americani”.

Con l’unificazione dello Stato cinese ad opera del maoismo, sulla base dell’alleanza con la Cina, la Russia tenterà alcuni assaggi per incrinare l’egemonia statunitense in Asia, ma dopo la guerra di Corea, abbandonerà il timido tentativo e lascerà l’alleato a protestare contro la “revisione” nelle tendenze di sviluppo dell’imperialismo russo.

Infatti, oltre al fatto che l’India è la zona su cui tende di più la penetrazione dell’imperialismo russo in Asia, l’URSS non era e non è assolutamente in grado di poter svolgere una efficace concorrenza agli Stati Uniti ed al Giappone in quel continente. La guerra di Corea e la stessa guerra del Vietnam ne sono una clamorosa conferma. L’espansione della potenza russa in Asia ha dei limiti oggettivi, per ora invalicabili: limiti rappresentati dalla debole capacità di esportazione di capitali. In più di dieci anni i prestiti russi alla Cina sono stati effettivamente tanto scarsi da compromettere l’iniziale alleanza e da provocare in brevissimo tempo una rottura. Tale debolezza oggettiva della tendenza “asiatica” di sviluppo imperialistico russo è la componente principale dell’alleanza USA-URSS.
è un dato oggettivo che presiede alla elaborazione della strategia imperialistica americana tendente ad impedire la formazione di una grossa potenza concorrente europea ed asiatica. La Russia può diventarlo, ma in parecchi decenni e lottando strenuamente contro le potenze imperialistiche europee che, unificate, di fatto la superano.

Il Giappone, con una potenza rapportabile a quella tedesca, non può in Asia unificare un gruppo di potenze imperialistiche, come è il caso dell’Europa, e diventare a breve scadenza una “superpotenza” paragonabile agli Stati Uniti. Potrebbe allearsi all’imperialismo europeo unificato, ma come in ogni alleanza anche in questa gli Stati Uniti hanno margini per impedirla con contropartite. Il problema per gli USA rimane sempre quello della superpotenza europea: il fatto è che in Europa di superpotenze ve ne sono due. Una è l’URSS, con la quale gli USA si sono alleati, e l’altra è una costellazione di “potenze medie” il cui processo di unificazione statale, come abbiamo visto, è un processo complesso e contraddittorio. Tra l’una e l’altra vi è in mezzo l’Europa orientale e balcanica, cioè un mercato che per ambedue rappresenta lo sbocco di una tendenza vitale di sviluppo imperialistico. A Yalta non vi è stata una divisione del mondo, perché gli Stati Uniti che lo avevano conquistato non dovevano dividerlo con nessuno e tanto meno con l’URSS che usciva dalla guerra distrutta. Vi fu una cessione all’URSS dell’Europa Orientale e balcanica da parte degli USA. Questi cedettero un mercato che non era loro ma dell’imperialismo europeo e si tennero tutti gli altri mercati.

Presero, come si usa dire, due piccioni con una fava… altrui: legarono la Russia per un tempo indefinito ad una alleanza oggettiva che aveva per pegno un mercato che l’URSS doveva sfruttare e mantenere con la forza militare ed impedirono che questo mercato cadesse in breve tempo sotto l’influenza di un risorto imperialismo tedesco. Inglobando il mercato europeo orientale l’URSS si sarebbe certamente rafforzata ma avrebbe dovuto necessariamente difenderlo dalla penetrazione tedesca, cosa che sta facendo da più di dieci anni. E la resistenza russa, anche se parziale come è dimostrato dalla crescente invasione del MEC, avrebbe finito col rallentare lo sviluppo della potenza tedesca e, di riflesso, delle altre potenze europee. Sotto questo aspetto, e per i risultati ottenuti, Yalta non è altro che una edizione americana della inglese “teoria dell’equilibrio” in Europa. Il calcolo americano si è dimostrato abbastanza preciso. Senza Yalta la potenza russa sarebbe ridimensionata alla sua effettiva capacità industriale, il processo di unificazione dell’imperialismo europeo, avrebbe potuto utilizzare, più di quanto ha fatto la Russia, tutto il mercato dell’Est, sarebbe giunto ad un grado più avanzato e la regressione del peso specifico della potenza americana si sarebbe ancora più accentuata. Ma come ogni equilibrio anche quello dell’Europa può rovesciarsi. La crisi cecoslovacca è un sintomo di una situazione in movimento e che non prospetta facili assestamenti. L’assetto interimperialistico emerso dal 1945 scricchiola sempre di più. Il sistema imperialistico prepara una delle sue più gigantesche crisi che, come sempre, sarà la classe operaia a pagare. Oggi più che mai è necessario che il proletariato internazionale si prepari a combattere contro tutti i gruppi imperialisti se non vuole essere travolto, se non vuole essere uno strumento della forsennata concorrenza che agita tutto il sistema imperialistico. Chi non è contro tutto l’imperialismo mondiale, chi non è contro l’imperialismo americano, russo ed europeo, è uno strumento in mano della concorrenza di un gruppo imperialistico.

Non può essere un comunista, non può essere un rivoluzionario.

Tutta la lotta rivoluzionaria deve essere diretta a demolire tutti i centri della ripartizione imperialista del mondo, deve essere contro la spartizione di Yalta ma deve impedire che si preparino altre spartizioni colpendo conseguentemente, in tutte le loro metropoli, i predoni imperialisti di ieri e gli aspiranti predoni di oggi.

(“Lotta Comunista” n.29-30, settembre-ottobre 1968)