Interdevuska, la prostituzione in Unione Sovietica






YURII COLOMBO

Uno degli scoop giornalistici del tormentone sui rapporti tra Vladimir Putin e Donald Trump, ormai un quinquennio fa furono le rivelazioni dell’ex capo del Fbi James Corney. “In Russia ci sono tra le più belle prostitute del mondo” avrebbe confidato Putin a Trump, secondo Corney. Un’affermazione che rivelerebbe uno degli aspetti del rapporto tra i due leader e il carattere misogino – già in alcuni casi venuto alla luce – del presidente russo.

A me personalmente non mi interessa sapere se la confidenza risponda a realtà. E neppure domandarmi se le sex-workers russe siano tra le più belle del mondo (anche se ovviamente essere bionda, avere gli occhi chiari e le gambe lunghe risponde ad alcuni canoni di bellezza occidentale contemporanea).

Ciò che mi interessa questa settimana raccontarvi, sono alcuni caratteri della prostituzione in Russia, forse poco conosciuti.

In Urss la prostituzione non c’era. O meglio, non c’era per il partito comunista e per lo Stato. Secondo l’ideologia dominante, in Urss erano stati risolti con l’avvento del socialismo tutti i problemi sociali da cui derivava la prostituzione, e quindi questa, d’incanto, aveva smesso di esistere. Un po’ come la legge del valore: se l’ignori non esiste salvo poi acquistare i jeans americani al prezzo di un tuo intero stipendio. Quindi evocarla era proibito, e insensato parlarne.

La prostituzione non esisteva nei film, nella letteratura e soprattutto nel codice penale visto che non si può punire qualcosa che non esiste.

Ovviamente la prostituzione continuò ad esistere ai margini della società sovietica anche se tutte le ex prostitute comprese quelle dell’epoca della NEP erano state inviate diligentemente al GULag da Stalin.

In un interessante articolo apparso recentemente sul blog di Maxim Mirovic, si ricostruisce la realtà della prostituzione nel “socialismo realizzato”. Negli anni ’60 una prestazione sessuale a pagamento sembra costasse dai 2,5 ai 10 rubli, un prezzo non particolarmente alto se si tiene conto che il prezzo di una bottiglia di vodka era fissato dal piano a 2,87 rubli. E uno stipendio medio era di 150.

La prostituzione era anche perseguita, ma derubricata a “disturbo della quiete pubblica” o addirittura “teppismo”. Ciò che probabilmente non esistette almeno fino agli anni ’70, fu un’organizzazione strutturata del vendita del sesso. Negli anni ’70 infatti iniziò il turismo di massa straniero in Urss che ebbe come effetto la nascita del “fasrvovsik”. Il “farsvovsik” era una figura border-line. Spesso lavorava con gli stranieri come guida turistica o traduttore, ma si impegnava anche in piccoli traffici illeciti come la compravendita di beni vietati in Urss: i jeans, le calze di nylon, i dischi di musica pop. Tra i servizi per i turisti stranieri che volevano rendere piccanti le loro serate a Mosca o Leningrado c’era quello di procurare ragazze piacenti. Grazie ad accordi con il personale degli hotels e il beneplacito del KGB (il quale attraverso le prostitute raccoglievano informazioni sui cittadini occidentali), si vennero a creare le prime reti commerciali della prostituzione.

Tuttavia la prostituzione restò un fenomeno relativamente artigianale, spesso vissuto dalle donne che la praticavano come un secondo lavoro o come un mezzo per entrare in contatto con uomini stranieri.

Con la perestrojka la prostituzione fuoriuscì dal cono d’ombra in cui era stata avvolta per 70 anni e se ne iniziò a parlare pubblicamente. Nel 1989 il film Interdevuska, in cui si narrava la vita di una giovane prostituta sovietica, spopolò nelle sale sovietiche e divenne un caso di costume su cui si cimentarono tutti gli intellettuali dell’epoca. .

Sull’onda della crisi della seconda metà degli anni ’80 e ’90 la prostituzione in Russia esplose, accompagnandosi alla crescita della criminalità organizzata e del gioco d’azzardo. Gli hotels gestivano la prostituzione come parte integrante del proprio business, producendo un abbassamento della qualità dei propri servizi e riducendo la sicurezza dei propri clienti.

Fu proprio Putin a rendere nuovamente la prostituzione illegale nel 2000. In Russia non è punito solo lo sfruttamento della prostituzione ma anche l’attività stessa con una multa che va dai 30 ai 1000 euro circa. Gli hotels sono stati inoltre “ripuliti” dalle ragazze che bivaccavano tutto il giorno nelle halls. Nell’era Putin però accanto alla prostituzione classica è tornato in auge il “semiprofessionalismo” dell’epoca sovietica. In una inchiesta del 2010 della Komsomolskaya Pravda si metteva in luce come il 61% delle donne russe potenzialmente sono disposte ad avere rapporti sessuali su base commerciale. E non solo direttamente per danaro ma anche per ricevere regali o in cambio di una vacanza con il cliente in un resort in Turchia o in Egitto. Internet ovviamente oggi gioca un ruolo importante per la promozione di questa specialissima merce come in ogni parte del mondo, ma anche nelle saune o nei parchi il cliente può trovare facilmente compagnia.

Si può forse concludere che – al di là che questa sia la personale opinione del presidente russo – le prostitute russe sono tra le più belle del mondo perché molte donne russe si prostituiscono, ricaduta di quella prostituzione generalizzata della società borghese, già fustigata da Marx nel Manifesto del Partito Comunista.

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