La propaganda stalinista, putiniana e rossobruna ha sparso sui social a piene mani la leggenda secondo cui la bandiera bielorussa fosse “nazista”. In questo articolo di Dmitrij Bogrov pubblicato su il sito Alt left che abbiamo tradotto, viene smontata pezzo per pezzo, tale menzogna.
Dall’estate scorsa in Bielorussia si sono svolte proteste su larga scala. Ora le manifestazioni si sono interrotte, ma ciò non significa che siano definitivamente finite. Come è noto i bielorussi che si sono schierati contro la dittatura di Lukashenko hanno usato come simbolo la bandiera nazionale rossa e bianca. Se ne è parlato a lungo di tale bandiera, e lo ha fatto soprattutto la propaganda di Lukashenko e quella russa. Le forze repressive di Lukashenko hanno combattuto questo vessillo, cercando di vietarlo, calpestarlo e stracciarlo, sostenendo fosse fascista. In tal guisa quindi non sarà superfluo parlare della storia di tale bandiera biancorossa: di chi l’ha inventata, di quali eventi sono stati associati ad essa, di cosa simboleggia. E in generale, abbiamo voluto fare una piccola incursione nella storia della lotta della Bielorussia per la sua indipendenza, trovando riferimenti ai fiori rossi e bianchi sul territorio della Bielorussia moderna fin dal Medioevo e anche nel granducato di Lituania.
Dopo la rivoluzione democratica di febbraio del 1917 in Russia e il rovesciamento della monarchia, nel paese si produsse un’impennata senza precedenti di movimenti sociali e tutti i popoli dell’ex impero russo, compresi i bielorussi, si mobilitarono a difesa dei loro interessi nazionali. Dopotutto, prima della rivoluzione, nessuna Bielorussia esisteva ufficialmente: per la monarchia dei Romanov essa non era altro che il “Territorio del Nordovest”, colonizzato dalla “Rus’ occidentale”.
È importante notare che la maggior parte di queste rivendicazioni non erano affatto ultranazionaliste o russofobe ciò che ormai come consuetudine spaventa i russi, anzi! La rivoluzione russa al contrario, unì i popoli: tutti erano felici che l’antica oppressione fosse finita e si era convinti che il tempo della libertà era arrivato! Ucraini e bielorussi non provavano affatto rabbia e odio nei confronti dei russi, insomma. In Ucraina la maggior parte dei politici erano “autonomisti”, cioè sostenevano l’idea di un ampio autogoverno come parte di un’unica entità federale unita alla Russia. Lo stesso valeva in Bielorussia. La cosa più importante è che i popoli della Russia intendevano legare il loro destino alla rivoluzione russa e alla elezione dell’Assemblea costituente, e da lì procedere. Tanto è vero che spedirono dopo la rivoluzione dei loro delegati nella capitale. Fu in quella fase che le organizzazioni bielorusse di Pietrogrado si rivolsero al giovane scrittore, l’architetto e socialista Klavdiy Stepanovich Duzh-Dushevsky chiedendogli di creare una bandiera del movimento nazionale bielorusso.
Egli propose diverse ipotesi ma la maggioranza scelse come colori della bandiera il bianco-rosso. In effetti, sono i motivi bianchi e rossi che predominano nell’ornamento bielorusso e nell’arte popolare bielorussa in generale e gli editoriali dei giornali iniziarono a parlare della bandiera biancorossa come della bandiera della Bielorussia libera. Sotto le sue insegne si svolsero anche i congressi dei deputati operai e contadini. Il 12 marzo 1917, la bandiera era già diventata uno dei principali elementi degli allestimenti della “Giornata nazionale dell’orgoglio bielorusso” a Minsk. I nastri bianco-rosso-bianchi venivano indossati da molti soldati bielorussi.
Tuttavia il governo provvisorio democratico si rivelò ancora molto condizionato dall’approccio imperiale… Molto è stato scritto sulla sua incompetenza, e ciò si manifestò anche sulla questione nazionale. E se agli ucraini il governo provvisoriofu disposto a fare delle concessioni temporanee sulla questione dell’autonomia, invece nessuno mostrò interesse per la delegazione dei rappresentanti bielorussi venuti a Pietrogrado per i negoziati. A questo va aggiunto il fatto che il governo provvisorio non risolse né la questione contadina della terra, né la questione dell’uscita della Russia dalla prima guerra mondiale.
Tutto questo non fece altro che infiammare i sentimenti indipendentisti e separatisti nelle periferie dell’impero: la gente iniziò a capire che il potere doveva essere preso nelle proprie mani e il fatto che lo Stato bielorusso per la prima volta si fosse forgiato sulla base dei Soviet locali, e non su fondamenta liberali, non è casuale.
Non è un caso altresì che il primo grande partito bielorusso, la “Comunità socialista” (Sozialisticeskaya Gromada) fosse apparso sull’onda della rivoluzione del 1905 quindi la popolazione della Bielorussia aveva già ricche tradizioni rivoluzionarie e nel 1917 si stava rapidamente spostando a sinistra. Quindi anche la Rivoluzione d’Ottobre venne accolta dai cittadini bielorussi e dai socialisti in linea di massima favorevolmente. E perché avrebbero dovuto essere del resto contro i bolscevichi? Dopo tutto i socialisti bielorussi avevano cercato di esprimere gli interessi dei contadini e i bolscevichi avevano promesso loro la terra, oltre che il diritto all’autodeterminazione. Già nel dicembre 1917, con il sostegno del Commissariato centrale del popolo per gli affari delle nazionalità, si tenne a Minsk il Congresso pan-bielorusso, composto principalmente da bolscevichi bielorussi e socialrivoluzionari di sinistra. Secondo alcune informative, una la delegata a tale congresso che portò alla formazione della Repubblica popolare bielorussa aveva sullo sfondo i colori biancorossi. Uno dei partecipanti a tale congresso era Poluta Aleksandrovna Bodunova, un’icona nella storia del movimento di liberazione nazionale bielorusso. Come Duzh-Dushevsky, era anch’essa attivista della “Comunità socialista” e divenne l’unica donna nel governo bielorusso. Prima della rivoluzione, Bodunova era un’insegnante di lingua e geografia russa. e gli studenti dei corsi di storia e di letteratura a Pietrogrado l’amavano per la sua gentilezza, apertura, esuberante energia, eleggendola all’unanimità alla direzione dei socialisti bielorussi. Nella sua vita, Poluta sostenne molte battaglie per la tutela e il collocamento di rifugiati e disabili, e fino alla fine dei suoi giorni rimase un’ardente sostenitrice degli interessi dei contadini, dell’indipendenza della Bielorussia, della democrazia e del socialismo.
Purtroppo ben presto però il Congresso pan-bielorusso fu sciolto dai bolscevichi. Così descrisse gli avvenimenti Karl Lander, presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell’oblast occidentale: “Il quindicesimo congresso venne convocato in violazione dell’accordo con il compagno Stalin che sosteneva in linea di principio il riconoscimento del potere sovietico, sulla stessa base esistente in Russa, delle relazioni con il governo centrale dei commissari del popolo, il congresso non riconobbe il potere stabilito dai Soviet per la regione locale e il trasferimento agli eletti alle organizzazioni congressuali. Per tutta risposta il Consiglio dei commissari del popolo della regione occidentale e del Fronte sciolse il congresso, invitò i suoi componenti a lasciare i confini del fronte e dell’oblast e iniziò a liquidare le organizzazioni dei cadetti che avevano trovato rifugio sotto la bandiera del Movimento nazionale bielorusso”.
Tutto ciò condusse a un conflitto tra i bolscevichi e Minsk. Distaccamenti congiunti polacco-bielorussi iniziano una guerra contro le Guardie rosse, la sede del governatore di Minsk occupata sotto gli auspici della Rada del Congresso pan-bielorusso e sul suo balcone venne appesa nuovamente una bandiera biancorossa. Perché socialisti bielorussi e bolscevichi non sono riuscirono a raggiungere un accordo? Quale fu la causa del conflitto? Sarebbe molto facile dire che Lenin era un imperialista, che voleva strangolare la Bielorussia indipendente, l’Ucraina, la Polonia e tutti gli altri, per poi giungere alla formazione di un nuovo impero, quello sovietico.
E’ ciò che sostengono i nazionalisti nei paesi ex sovietici, ma si tratta di una semplificazione eccessiva. Dopotutto, inizialmente i bolscevichi e la “Comunità socialista” erano d’accordo per l’indipendenza delle repubbliche sovietiche e vedevano l’Unione Sovietica come una confederazione di paesi indipendenti.
Tuttavia l’estrema centralizzazione oggettiva della Russia intorno a Mosca, sulla base della quale lo Stato sovietico era stato costruito, escludeva una simile dinamica. Inoltre, nelle condizioni della guerra civile, i bolscevichi avevano bisogno di una leadership coesa e temevano che senza ciò la Bielorussia sarebbe passata nelle “mani dei proprietari terrieri borghesi”. E del resto è ciò che in parte successe. Ben presto infatti le truppe tedesche entrarono a Minsk. Il 25 marzo 1918, la Bielorussia annunciò la creazione della Repubblica popolare bielorussa ma in realtà il vero potere era nelle mani dell’esercito tedesco… E dopo che i tedeschi se ne andarono, i proprietari terrieri polacchi iniziarono a rivendicare il suo controllo. Poluta Bodunova e alcuni dei suoi compagni ruppero allora con il governo fantoccio e crearono il Partito dei socialisti rivoluzionari bielorussi. Essi sostennero parole d’ordine contro la Germania, contro la Polonia e contro la Russia sovietica ma ben presto si ritrovano semplicemente tra tre fuochi e perseguitati. Un comitato insurrezionale venne creato a Minsk, guidato da Poluta Bodunova, però presto venne arrestata dalle autorità polacche e dopo il suo rilascio se ne andò in Lituania.
Nella loro lotta, quindi i socialisti bielorussi furono ancora una volta costretti a cercare la pace con i bolscevichi. A Smolensk, Poluta partecipò ai negoziati con i comunisti sull’autodeterminazione della Bielorussia. Venne deciso di rimandare la futura configurazione del paese a dopo la vittoria sul padrone di casa polacco. In seguito però, dopo la vittoria dei rossi nella guerra civile, la Bielorussia fu trasformata in una repubblica sovietica e la sua parte occidentale fu ceduta alla Polonia e il partito dei socialisti bielorussi venne bandito e Poluta Bodunova finì nelle celle della Ceka.
La bandiera biancorossa iniziò ad essere usata dal governo bielorusso in esilio ma anche dai socialisti clandestini nella Bielorussia occidentale nella loro lotta contro il governo polacco. E la sventolarono anche Iiribelli che combatterono nella rivolta di Slutsk contro il potere bolscevico. Quella stessa bandiera venne comunque sventolata quando le truppe sovietiche furono accolte come liberatrici nel 1939. È interessante notare infatti che anche tra i comunisti si discuteva sulla possibilità di fare del bianco e del rosso i colori dellal bandiera della repubblica sovietica bielorussa.
Infine la bandiera biancorossa venne utilizzata anche dai collaboratori bielorussi. Vale la pena notare qui che le forze pro-Hitler in tutti i paesi usarono le bandiere nazionali di tali paesi, è evidente e quindi i collaborazionisti russi per esempio usarono il tricolore e la bandiera di Sant’Andrea. Solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Bielorussia acquisirà la tanto anelata bandiera biancorossa, ma non per molto. Flirtando con la nostalgia sovietica, il presidente Lukashenko dopo aver imposto la sua dittatura, abolirà la bandiera su cui ha prestato giuramento e adotterà quella che era stata sovietica seppur con delle modifiche.
Quale fu la sorte dei socialisti bielorussi? Non c’era posto evidentemente per loro nell’Urss stalinista … Claudius Duzh-Dushevsky si trasferì in Lituania. Malgrado si fosse ritirato dalla politica attiva, continuò ad essere attivamente coinvolto in battaglie sociali e culturali, pubblicò una rivista. Diresse la costruzione di alcune fabbriche a Panevezys, Kaunas, Klaipeda. Dopo l’occupazione della Lituania da parte delle truppe sovietiche fu arrestato ma anche a seguito dell’occupazione della Lituania da parte delle truppe tedesche, si rifiutò di collaborare e di ricoprire la carica di vicesindaco di Minsk: non divenne mai un “quisling bielorusso … Nell’agosto del 1943, Dushevsky e sua moglie furono arrestati dai nazisti per aver nascosto gli ebrei e inviati alla fine lager di Praveniškės (vicino a Kaunas). Dopo la vittoria dell’Urss, il 14 maggio 1952, il 61enne Dushevsky, in quanto “nazionalista bielorusso attivo”, fu condannato a 25 anni di prigione. Fu rilasciato poi anticipatamente e morì il 25 febbraio 1959. Poluta Bodunova, fu rilasciata dai bolscevichi negli anni Venti e si è recò illegalmente a Praga, dove cercò di svolgere un’attività politica attiva. Sotto gli auspici della sorella Maria, Bodunova poi tornò poi a Minsk nel 1926 e dal 1930 visse con suo fratello a Gomel, guadagnandosi il pane, facendo lezioni private. Rimase comunque una convinta oppositrice del potere bolscevico. Il 3 settembre 1937, per aver criticato apertamente il sistema fu arrestata e l’anno successiva fucilata.
Cosa si può dire a bilancio di questa vicenda? I nazionalisti nelle ex repubbliche sovietiche oggi tacciono sul ruolo che ebbe la sinistra in quella fase e cercano di dipingere il socialismo come il male assoluto, tuttavia il ruolo dei socialisti nella lotta per l’indipendenza sia della Bielorussia che dell’Ucraina resta comunque innegabile.