La Stampa (TuttoLibri) 10.6.2003
Makhno sfidò lo zar, Lenin e i bolscevichi con lui nacque il mito della libertà ucraina
di Yurii Colombo
Nell’autunno del 2017 a Mosca presso il Museo di Storia Contemporanea, sulla centralissima Via Tverskaja, venne aperta una mostra sulla guerra civile in Russia e nei territori dell’ex-impero zarista che non si soffermava solo sui «rossi» (i bolscevichi giunti al potere) e sui «bianchi» (gli eserciti monarchici sostenuti dalle grandi potenze occidentali che intendevano reimporre l’Ancien Régime) ma anche sui «verdi» ovvero quell’ampia galassia di eserciti contadini che ponendosi a distanza dalle due principali coalizioni in lotta, volevano difendere la conquista della proprietà da parte dei coltivatori alla terra.
Tra questi eserciti, molto numerosi tra il 1917 e il 1921 e dimenticati spesso dalla storiografia del XX secolo, il più celebre fu senz’altro quello di Nestor Makhno.
Nato in Ucraina nel 1888 a Guljaj Pole non lontano da Ekateronoslav (oggi Dnipro), era figlio di contadini e anarchico sin dall’adolescenza. Durante la rivoluzione del 1917 riuscì a costituire un consistente esercito libertario nelle pianure tra Zaparože e Marjupol, proprio nella zona in cui attualmente ci sono i più aspri combattimenti tra le truppe di Zelenskij e quelle di Putin. Il suo esercito fu prima alleato dei bolscevichi contro la fazione filo-monarchica di Pëtr Vrangel’, successivamente si schierò contro i comunisti stessi che intendevano porlo sotto il proprio controllo autoritario.
Con in capo la papaha il classico colbacco ucraino in astrakhan, la spada nel fodero e una pistola sempre in mano, il rivoluzionario ucraino divenne ben presto una leggenda nell’Ucraina orientale della riva destra del Dnepr. Biondo, non molto alto, si dice che lasciò dietro di sé molte contadine innamorate, ma solo tre furono le sue compagne, tra cui Galina Kuzmenko da cui ebbe una figlia e che condivise fino alla fine i suoi ideali. I suoi combattenti lo chiamavano con adorazione batko ovvero ciò che con approssimata traduzione potremmo definire «capo politico-militare».
La sua tecnica di guerriglia fece scuola e mise in crisi sia gli eserciti neozaristi, abituati a condurre battaglie frontali in campo aperto, sia l’Armata Rossa che usava soprattutto operare vicino alle ferrovie per le sue scorribande. Makhno fece diventare le leggere tacanke (dei calessi trainati dai cavalli su cui erano montate delle mitragliatrici maxim raffreddate ad acqua) uno strumento di guerra letale per tutti i suoi nemici. Le sue formazioni, sfruttando la conoscenza approfondita del territorio in cui si muovevano, si disperdevano lungo le vallate ucraine per poi concentrarsi improvvisamente e colpire chirurgicamente gli avversari. Il suo esercito era composto da qualche decina di migliaia di contadini e al suo passaggio non restava che cenere delle proprietà dei latifondisti.
Nelle Memorie del contadino anarchico molti sono i passaggi vividi che propongono nuovi, freschi sguardi sulla stessa epopea della Rivoluzione Russa, come per esempio l’incontro al Cremlino con Vladimir Lenin. Il resoconto che ne fa il rivoluzionario anarchico non è solo credibile storiograficamente ma mette in luce le differenze di fondo tra la visione antiautoritaria della trasformazione socialista dei libertari e quella del marxismo ortodosso. All’accusa di Lenin verso i libertari di pensare al futuro ma di restare «nel presente tra le nuvole» Makhno replicò a muso duro non solo parlando delle sue esperienze di organizzazione politica nelle campagne ma anche sottolineando che «gli anarco-comunisti in Ucraina hanno già dato troppe prove di essere intimamente legati al presente». Il richiamo fatto da Makhno all’Ucraina è importante per comprendere come malgrado Lenin venga accusato oggi da Putin di essere stato il «creatore» dell’Ucraina contemporanea continuava comunque a chiamarla come aveva sempre fatto l’autocrazia zarista, «Russia meridionale» o anche «Piccola Russia» (Malo Rossija).
I legami di Makhno erano talmente forti con la sua terra da voler tentare di coniugare l’indentitarismo ucraino con l’internazionalismo dei proletari della tradizione classica del movimento operaio. Del resto i suoi rapporti con il movimento anarchico «ufficiale» russo restarono sempre difficili: era uomo più d’azione che di infinite riunioni teoriche in cui emergevano sempre conflitti insuperabili tra anarchici bakunisti, kropokiniani e tolstojani. Annota nelle sue memorie: «Tutto questo mi convinse, dopo essere stato strappato dalle forze controrivoluzionarie dal bollente lavoro rivoluzionario di massa in Ucraina ed essermi trovato temporaneamente a Mosca, che avevo ragione a pensare che la capitale russa era al centro della Rivoluzione solo sulla carta. Attirava tutti i socialisti e gli anarchici, che amavano solo una cosa della Rivoluzione: parlare e scrivere e che non erano contrari a consigliare le masse, ma da lontano…».
Makhno restò infatti convinto della necessità di una robusta organizzazione rivoluzionaria, al punto tale che dopo essere stato sconfitto dai bolscevichi ed essersi rifugiato in esilio in Francia, fondò nel 1926 una sua tendenza nel movimento libertario assieme a Pëtr Aršinov (altro storico militante del movimento anarchico) autodefinitasi «Piattaformista» che rivendicava, per ironia della storia, una strutturazione del movimento anarchico quasi «leninista». Non ebbe successo: l’idea del comunismo anarchico già a quel punto trovava molti più sostenitori tra i bohémien dei caffè parigini che tra gli operai delle banlieues. Quando morì stanco e malato nel 1934, il suo movimento non era riuscito a decollare e sarebbe rimasto minoranza tra le minoranze.
Malgrado ciò il suo nome tornò sulla bocca dei ribelli del 1968 che non si erano infatuati del maoismo e del trockismo e nel 2001 tra i no-global di Genova come alternativa romantica ma combattiva al comunismo e alla socialdemocrazia.
Come scrive lo storico moscovita Aleksandr Šubin a conclusione di una vasta introduzione a questo libro di Memorie che ho curato: «I combattenti antifascisti durante la Guerra Civile Spagnola ripetevano ancora come un mantra il nome di Makhno mentre si preparavano ad attaccare. Certo, lui era già morto, ma la sua esperienza ispirò ancora altri a resistere al totalitarismo che si stava diffondendo in Europa».
IN LIBRERIA – NESTOR MAKHNO – NMMEMORIE, CASTELVECCHI 2003, INTRODUZIONE DI ALEKSANDER SHUBIN, PREFAZIONE DI ALESSIO LEGA, TRADUZIONE E CURA DI YURII COLOMBO.
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