Rosa e la rivoluzione russa






di Yurii Colombo

Esiste un’unica soluzione alla tragedia nella quale la Russia è attanagliata: un’insurrezione nelle retrovie dell’imperialismo tedesco, la sollevazione delle masse tedesche, che dia avvio alla rivoluzione internazionale per porre fine a questo genocidio. In questo fatidico momento, preservare l’onore della rivoluzione russa equivale a vendicare quello del proletariato tedesco e dei socialisti di tutto il mondo” (Rosa Luxemburg, “La tragedia russa”).

Quando si parla del rapporto di Rosa Luxemburg con il movimento socialista russo spesso si fa riferimento al suo saggio polemico con la corrente bolscevica de I problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa del 1905 o a La rivoluzione russa del 1918 pubblicato postumo da Paul Levi nel 1922.

In realtà per tutta la vita di militante e teorica del socialismo internazionale, Rosa seguì instancabilmente l’evoluzione della situazione in Russia convinta che da lì potessero giungere, come poi avvenne, importanti lezioni per il futuro del movimento a livello internazionale. Il suo interesse per la Russia può essere suddiviso in 3 grandi filoni. La questione dell’indipendenza polacca, la rivoluzione del 1905 come modello consiliare avanzato, la vicenda della rivoluzione del 1917 e di rincalzo la questione del centralismo e della democrazia interna al partito bolscevico.

In questo saggio, nell’affrontare questi tre aspetti, ho voluto rigidamente mantenere una ricostruzione cronologica delle sua riflessioni in modo tale che il lettore ne possa apprezzare la sua evoluzione come anche le sue contraddizioni.

La futura rivoluzionaria Rozalia Luxemburg nacque a Zamość il 5 marzo del 1871 quando la Polonia era già da oltre 30 anni sotto la dominazione russa e quindi parlava russo fluentemente. All’età di 16 anni si unì a Proletariat, il partito socialista polacco fondato nel 1882. Come ha scritto Tony Cliff che dedicò a Luxemburg nel 1959 una breve ma densa monografia, “all’inizio Proletariat fu, in linea di principio e di programma, molti passi avanti rispetto al movimento rivoluzionario in Russia. Mentre il movimento rivoluzionario russo si limitava ancora agli atti di terrorismo individuale compiuti da alcuni intellettuali eroici, Proletariat stava già organizzando e guidando migliaia di lavoratori in sciopero. Nel 1886, tuttavia, Proletariat fu praticamente decapitato dall’esecuzione di 4 dei suoi leader, dall’arresto di altri 23 dirigenti per lunghi periodi e dall’esilio di circa altri 200 militanti”. Il superiore livello teorico e politico della socialdemocrazia polacca degli esordi rispetto a quella russa, l’esilio in Svizzera e poi in Germania, consentirono poi alla giovane studentessa ebrea di formarsi al marxismo più raffinato dell’epoca.

La questione polacca

Nel 1898 Rosa si presenta nel consesso del dibattito teorico del socialismo internazionale pubblicando in volume la sua tesi di laurea dell’anno prima intitolata industrielle Entwicklung Polens (“Lo sviluppo industriale della Polonia”). Già in questo primo lavoro Luxemburg dimostra profonde capacità analitiche e mette al lavoro il marxismo, giungendo a conclusioni politiche del tutto anticonformiste sulla questione nazionale polacca. Mentre la socialdemocrazia internazionale, compresa quella russa, si schieravano a favore dell’indipendenza della Polonia, Luxemburg mise in luce come la stretta dipendenza dal mercato russo del capitalismo di Varsavia rendessero inani e reazionarie le rivendicazioni politiche dei nazionalisti polacchi. Così ella riassume la sua posizione su tale questione che negli anni affinerà e approfondirà ma non cambierà più.

Crediamo che il governo russo, la borghesia polacca e i nazionalisti polacchi siano tutti ugualmente colpiti da cecità e che il processo di fusione capitalista tra Polonia e Russia abbia anche un importante aspetto dialettico che essi hanno completamente ignorato. Questo processo si sta portando a compimento nel suo stesso grembo nel momento in cui lo sviluppo del capitalismo in Russia entrerà in contraddizione con la forma assolutista di governo e quando il dominio zarista verrà abbattuto dalla sua stessa evoluzione. Prima o poi, scadrà l’ora in cui la stessa borghesia polacca, oggi viziata dal governo zarista, si stancherà del suo avvocato politico – l’assolutismo – e darà scacco matto. Questa dinamica capitalista si sta muovendo con una fretta impetuosa verso il momento in cui lo sviluppo delle forze produttive dell’Impero russo diventeranno inconciliabili con il dominio del capitale e al posto dell’economia privata delle merci (un nuovo ordine sociale basato sul piano) apparirà la produzione cooperativa. La borghesia polacca e russa stanno affrettando questo momento con le loro forze congiunte; non possono fare un passo avanti senza aumentare e spingere dappresso le classi lavoratrici polacche e russe. La fusione capitalista di Polonia e Russia sta generando come risultato finale, quello che è stato trascurato nella stessa misura dal governo russo, dalla borghesia polacca e dai nazionalisti polacchi: l’unione dei proletariati polacchi e russi sorta del fallimento prima del dominio dello zarismo russo, e poi dal dominio del capitale russo-polacca”.

Nel 1897, quando la giovane rivoluzionaria scrive queste righe non può certo prevedere tutti gli andirivieni della storia europea e del movimento operaio dei successivi decenni ma il processo sociopolitico di fondo viene delineato nei suoi tratti essenziali.

Lo sviluppo capitalista russo avrebbe incontrato l’ascesa del proletariato impedendo qualsiasi soluzione evoluzionistica e riformistica e il destino dei proletariati polacchi e russi si sarebbero incontrati. È ciò che succederà nell’estate del 1920, solo pochi mesi dopo l’assassino di Rosa, quando Lenin e Trotsky tenteranno di sfondare verso Varsavia ma in una situazione invertita rispetto a quella di 30 anni prima, con il proletariato russo a giocare il ruolo di punta avanzata e quello polacco diviso e alla coda della piccola-borghesia contadina.

Si tratta di una tesi che Luxemburg aveva già posto nel 1896 nel suo articolo La questione polacca al congresso internazionale di Londra. In due successivi saggi la rivoluzionaria polacca affina questa sua posizione, in particolare dal punto di vista delle ricadute politiche. Il primo è l’introduzione al volume La questione polacca e il movimento socialista datato 1905, mentre nel secondo La questione nazionale viene presentato a puntate tra il 1908 e il 1909 sulla rivista marxista di Cracovia Przeglad socialdemokratyczny.

Luxemburg sostiene essenzialmente che nell’Europa occidentale e centrale il periodo delle rivoluzioni democratiche borghesi era ormai giunto al termine. I junker prussiani erano riusciti a stabilire il loro dominio così fermamente, che non avevano più bisogno dell’aiuto dello zar.

Allo stesso tempo il dominio zarista aveva cessato di essere il bastione inespugnabile della reazione: c’erano stati gli scioperi di massa degli operai a Varsavia, Lodz, Pietrogrado e Mosca nell’impero russo e il risveglio delle ribellioni contadine. Mentre ai tempi di Marx ed Engels il cuore della rivoluzione era nell’Europa occidentale e centrale, ora, all’inizio del XX, si era spostato verso la Russia, in oriente. Mentre ai tempi del Marx lo zarismo era il principale gendarme che reprimeva le rivolte rivoluzionarie, ora lo zarismo stesso aveva bisogno dell’aiuto (principalmente finanziario) delle potenze capitaliste occidentali. Invece di proiettili e rubli russi diretti verso occidente, ora munizioni e marchi tedeschi, francesi, britannici e belgi, franchi e sterline scorrevano in un flusso crescente verso la Russia. Rosa Luxemburg sottolineava inoltre che erano avvenuti cambiamenti fondamentali per quanto riguardava le aspirazioni nazionali in Polonia. Mentre all’epoca di Marx ed Engels i nobili polacchi erano i leader del movimento nazionale, ora, con i crescenti sviluppi capitalistici del paese, stavano perdendo terreno socialmente e si stavano rivolgendo allo zarismo come alleato nella repressione dei movimenti progressisti. Ne risultava che la nobiltà polacca si raffreddava sempre di più nei confronti delle aspirazioni all’indipendenza nazionale e la stessa borghesia polacca non sosteneva più d’impeto l’indipendenza nazionale, poiché i principali mercati per la sua industria erano in Russia.

Indipendenza o autonomia nazionale?

Anche la classe operaia polacca, secondo Rosa Luxemburg, non era interessata alla separazione della Polonia dalla Russia, poiché vedeva a Mosca e Pietrogrado gli alleati di Varsavia e Lodz. Ciò significava che i rivoluzionari dovevano essere indifferenti alla questione nazionale? Assolutamente no!

Ecco come articola la sua posizione Rosa: “Tollerare l’oppressione nazionale, farsene carico servilmente – questo è il talento speciale della schlachta (la piccola nobilità polacca n.d.r.) e della borghesia, vale a dire le classi possedenti i cui interessi oggi sono reazionari, le classi che sono l’incarnazione perfetta di quel volgare “materialismo intestinale” nel quale la filosofia materialista di Marx e Feuerbach viene di solito trasformata nei teschi vuoti dei nostri noiosi giornalisti.

Essendo una classe che non ha alcun interesse materiale nella società attuale, il nostro proletariato, la cui missione storica è quella di rovesciare l’intero sistema esistente in breve, la classe rivoluzionaria deve sperimentare l’oppressione nazionale come una ferita aperta, una vergogna,e in effetti lo fa, anche se ciò non altera il fatto che questa particolare ingiustizia è solo una goccia nell’oceano dell’intera privazione sociale, degli abusi politici e della diseredazione intellettuale che il lavoratore salariato subisce per mano della società odierna.

Ma questo, come abbiamo detto, non implica in alcun modo che il proletariato voglia di assumersi il compito storico della schlachta, come avrebbero voluto le menti anacronistiche del piccolo nazionalismo borghese; questo compito, per riportare la Polonia alla sua esistenza in quanto Stato di classe, è un obiettivo che la stessa schlachta ha abbandonato e che la borghesia ha reso impossibile attraverso il suo stesso sviluppo. Ma il nostro proletariato può e deve lottare per la difesa dell’identità nazionale come eredità culturale, che ha il suo diritto di esistere e prosperare. E oggi la nostra identità nazionale non può essere difesa dal separatismo nazionale; può essere assicurato solo attraverso la lotta per rovesciare il dispotismo e impiantare solidamente i vantaggi della cultura e della vita borghese in tutto il paese, come è stato fatto da tempo nell’Europa occidentale.

Di conseguenza, è proprio il movimento di classe non infettato del proletariato polacco, cresciuto fino alla maturità con il capitalismo e sulla tomba dei movimenti per l’autonomia nazionale che costituisce la migliore e unica garanzia del raggiungimento, insieme all’uguaglianza e all’autonomia borghesi, delle libertà nella vita politica e della nostra cultura nazionale. Pertanto, anche da una prospettiva puramente nazionale, tutto ciò che contribuisce a promuovere, espandere e accelerare il movimento della classe operaia deve essere visto come un contributo al patriottismo nazionale nel senso migliore e più vero del termine. Ma tutto ciò che limita o impedisce questo sviluppo, tutto ciò che potrebbe ritardarlo o indurlo a discostarsi dai suoi principi deve essere considerato dannoso e ostile alla causa nazionale. Da questo punto di vista, gli sforzi per coltivare le antiche tradizioni del nazionalismo e per deviare la classe operaia polacca dal percorso della lotta di classe alla follia utopica della restaurazione polacca, come ha fatto il patriottismo sociale per dodici lunghi anni, rappresenta una politica profondamente antinazionalista, nonostante i suoi simboli esteriormente nazionalisti. La socialdemocrazia, ponendosi sotto la bandiera del socialismo internazionale, sostiene la difesa del patrimonio culturale nazionale polacco che è l’attuale conseguenza della dialettica storica”.

Autonomia e rispetto delle tradizioni culturali sono il terreno su cui si deve impegnare il socialismo in Polonia evitando di inseguire le sirene dell’indipendentismo reazionario. Che come si vedrà la sua ripresa durante la prima guerra mondiale aprirà alla formazione di uno Stato cuscinetto con la Russia reazionario e rampante.

Estranea a qualsiasi culto del diritto alla formazione di qualsivoglia entità nazionale Rosa, polemizzando con i socialdemocratici russi richiama il carattere anti-ideologico del marxismo.

Il carattere generale e i cliché del nono punto del programma del Partito socialdemocratico russo mostra che questo modo di risolvere la questione è estraneo alla posizione del socialismo marxiano. Un “diritto delle nazioni” valido per tutti i paesi e tutte le epoche non è altro che un cliché metafisico del tipo “diritti dell’uomo” e “diritti dei cittadini”. Il materialismo dialettico, che è la base del socialismo scientifico, ha rotto una volta per tutte con questo tipo di formula “eterna”. La dialettica storica ha dimostrato che non ci sono verità “eterne” e che non ci sono “diritti”. Con le parole di Engels “Ciò che è buono nel qui e ora, è un male altrove, e viceversa ” e ciò che è giusto e ragionevole in alcune circostanze diventa assurdità in altre. Il materialismo storico ci ha insegnato che il vero contenuto di queste verità: le verità dei diritti e formule “eterne” è determinata solo dalle condizioni sociali materiali dell’ambiente in una data epoca storica”.

Primo intermezzo: la questione dell’organizzazione in Russia

Commentando il primo congresso della socialdemocrazia tenutosi in Bielorussia nel 1898 in una lettera a Leo Jogiches del giugno di quell’anno Luxemburg ironizza con delicatezza sull’arretratezza dei russi: “Che impressione ti ha fatto il nuovo partito russo? La mia stessa, ne sono sicura; sono figure comiche, ma si sono arrampicate nel mondo! Sulla stampa questo non ha avuto l’eco che speravano senza dubbio. Hanno colto l’attimo, ma non è stato favorevole. Sicuramente questa occasione sarà presto seguita nel Neue Zeit da uno dei “discorsi inespressi” di Axel’rod…” Si tratta di approccio, per alcuni versi, da “sorella maggiore” il cui “militantismo barbaro” il “decisionismo rivoluzionario” dei russi che pure ammirava, impedisse loro di cogliere alcuni aspetti decisivi della tattica socialista. Si tratta, se colto dal punto di vista della soggettività proletaria, di una debolezza che ritroviamo anche in alcuni passaggi suo saggio sul dibattito sulla centralizzazione della socialdemocrazia russa del 1902-1904 che aveva condotto alla scissione tra menscevichi e bolscevichi. Secondo Rosa la centralizzazione del movimento russo anelata da Lenin non sarebbe stata solo pericolosa ma impossibile data l’arretratezza del proletariato russo nell’impero zarista. Quindi tutto il lavoro, certosino e sistematico di Lenin degli anni precedenti al 1905 volto a dimostrare il carattere direttamente politico dei movimenti degli scioperi in Russia si deve presumere non fosse noto, o sottovalutato, dalla rivoluzionaria polacca.

Ecco quanto afferma a tale proposito: “L’analisi di questo contenuto specifico del centralismo socialdemocratico mostra chiaramente che oggi in Russia non possono ancora sussisterne appieno le condizioni necessarie, cioè la presenza di uno strato considerevole di proletari già educati nella lotta politica e la possibilità di far valere la propria capacità di comando grazie all’esercizio diretto di influenza (nei pubblici congressi, nella stampa di partito, ecc.).

La seconda condizione può essere evidentemente realizzata in

Russia solo con la libertà politica, ma la prima – la formazione di

un’avanguardia proletaria cosciente e capace di giudizio autonomo – è proprio ora sul nascere e deve quindi esser considerata lo scopo

principale del prossimo lavoro sia di agitazione che di organizzazione. Tanto maggior sorpresa cagiona l’opposta convinzione di Lenin secondo cui esistono già ora in Russia tutte le pre-condizioni per la costituzione di un grande partito operaio estremamente centralizzato”.

Più puntuale è invece il suo richiamo ai caratteri intimamente giacobini dell’ultracentralismo leniniano cioè di una piramide politica che in ultima istanza parte dal leader illuminato e giunge fino al comitato di partito della più sperduta città della Siberia. Scrive Luxemburg sempre in Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa: “…la socialdemocrazia crea un tipo di organizzazione completamente diverso dai precedenti movimenti socialisti, per esempio quelli del tipo giacobino-blanquista. Lenin sembra sottovalutare questo fatto, quando nel suo libro (p. 140) pensa che il rivoluzionario socialdemocratico non sia altro

che “il giacobino indissolubilmente legato all’organizzazione del proletariato cosciente”. Nell’organizzazione e nella coscienza di classe del proletariato in contrapposizione alla congiura di una piccola minoranza Lenin scorge i momenti differenziali essenziali fra la socialdemocrazia e il blanquismo. Egli dimentica che ciò implica anche una valutazione completamente diversa dei concetti organizzativi, un contenuto del tutto nuovo per l’idea del centralismo, una concezione del tutto nuova del reciproco rapporto dell’organizzazione e della lotta. […] Da un lato – a prescindere dai principi generali della lotta – non esiste bell’e pronta nessuna tattica dettagliata e fissata in anticipo, in cui i membri della socialdemocrazia possano essere istruiti da un comitato centrale. D’altro lato il corso della lotta, che crea l’organizzazione, determina una fluttuazione continua della sfera d’influenza della socialdemocrazia. Risulta già da questo che la centralizzazione socialdemocratica non può basarsi sull’obbedienza cieca, sulla subordinazione meccanica dei militanti di partito alla loro autorità centrale e che d’altra parte nessuna paratia stagna può essere eretta fra il nucleo del proletariato cosciente già saldamente inquadrato nel partito, e lo strato circostante già afferrato dalla lotta di classe e in pieno processo formativo”.

Si tratta delle stesse posizioni, essenzialmente, che spingeranno Trotsky a rompere con Lenin nel Congresso di Londra, di cui fino alle proposte del Che fare? era stato fedele allievo, e che troveranno sintesi nel suo Rapporto della delegazione siberiana contro i pericoli del burocratismo. Ma non solo. Rosa chiarisce come la formula della “coscienza portata dall’esterno” ripresa da Lenin a sua volta da Kautsky, sia una grossolano travisamento della prospettiva marxiana dell’ “emancipazione degli operai sarà opera degli operai stessi”.

Lenin ha forse caratterizzato il suo punto di vista in modo più sottile di quanto potesse farlo qualunque dei suoi oppositori, definendo il suo “socialdemocratico rivoluzionario” come “il giacobino legato all’organizzazione degli operai coscienti”. In effetti la socialdemocrazia non è legata all’organizzazione della classe operaia, ma è il movimento specifico della classe operaia. Il centralismo socialdemocratico deve quindi essere di qualità essenzialmente diversa da quello blanquistico. Esso non può essere altro che il momento imperativo in cui si unifica la volontà dell’avanguardia cosciente e militante della classe operaia di fronte ai suoi singoli gruppi e individui, e questo è per cosi: dire un “autocentralismo” dello strato dirigente del proletariato, il dominio della maggioranza all’interno della propria organizzazione di partito.

Rosa si ravvede

Tuttavia, allo scoccare della rivoluzione russa del 1905 Rosa Luxemburg è pronta a riconoscerne il carattere inedito e radicale e riarticolare la sua posizione. Il 28 gennaio sono passati solo 6 giorni dalla “domenica di sangue” di Pietroburgo” che Rosa scrive un lungo articolo in cui coglie con la sensibilità che solo un rivoluzionario può avere la magnitudo degli avvenimenti e li mettere insieme da marxista non dogmatica, cogliendo per intero il valore del movimento degli scioperi e la formazione dei soviet come elementi che mettono in soffitta – seppur dialetticamente – le tesi polemiche antibakuniniane di Marx e di Engels.

La sua posizione sulle forze motrici del processo rivoluzionario in Russia sono più simili a quelle spumeggianti espresse in Bilanci e prospettive da Trotsky dove prende forma la teoria della rivoluzione permanente che a quelle rigide espresse di Lenin de Le due tattiche della socialdemocrazia .

È perfettamente chiaro – scrive Luxemburg – che l’attuale rivoluzione russa non può assolutamente essere affrontata con frasi tipo “ghiacciai che si sciolgono”, “steppe infinite”, “anime silenziose e lacrime stanche” e altre simili espressioni belletristiche insignificanti nello spirito dei giornalisti borghesi, la cui intera conoscenza della Russia proviene dalla produzione più recente di Gorkij oppure da un paio di romanzi di Tolstoj che scivolano sui problemi sociali di entrambi gli emisferi con la stessa benevola ignoranza. […] Ma soprattutto sarebbe totalmente sbagliato se la socialdemocrazia dell’Europa occidentale, con i volgari timori di un Ben Akiba dovesse vedere nella Rivoluzione russa semplicemente un altro evento storico attraverso cui la Germania e Francia sono “passate” molto tempo fa. La rivoluzione russa, sta solo formalmente facendo per la Russia ciò che le rivoluzioni di febbraio e del Marzo [1848] hanno realizzato per l’Europa occidentale e centrale mezzo secolo fa, ma è allo stesso tempo – proprio perché è una continuazione molto tardiva delle rivoluzioni europee – totalmente speciale e unica”.

Non già quindi una ripetizione delle rivoluzioni borghesi di mezzo secolo prima ma qualcosa di nuovo di cui non si possono avvedere solo gli stanchi ripetitori di formule del passato come quelle di Marx ed Engels sul carattere intimamente reazionario della Russia zarista. Sul lato teorico vedremo come Rosa tornerà a breve, per rovesciare come un calzino, l’ortodossia marxista.

Proseguiamo con la lettura: “La Russia entra nel palcoscenico rivoluzionario mondiale come il paese più arretrato in termini politici. Dal punto di vista dello sviluppo della classe borghese non può sostenere alcun confronto con la Germania prima del marzo 1848. Per esattamente tale motivo, e nonostante tutte le opinioni convenzionali, l’attuale rivoluzione russa ha il carattere di classe più pronunciato di tutte le rivoluzioni avvenute fino ad oggi. È vero, le esigenze immediate dell’attuale rivolta in Russia non vanno oltre una costituzione democratica borghese; e il risultato finale della crisi, che forse – anzi, molto probabilmente – potrà durare anni con una rapida successione di flussi e riflussi, probabilmente non sarà altro che un miserabile regime costituzionale. Tuttavia, la rivoluzione che è condannata a dare alla luce questo bastardo sistema borghese è più puramente proletaria di tutti quelle che l’hanno preceduta”.

Più avanzata dunque della ,così amata da Marx ed Engels, Parigi del 1871 non per il suo carattere più strutturalmente rivoluzionario o per le dimensioni del suo proletariato ma per il suo impatto sulla realtà internazionale e per la formazione dei soviet di cui la socialdemocrazia europea stenta a comprenderne il valore, impegnata com’è nelle scartoffie parlamentari. Rosa prevede una probabile conclusione “democratico-borghese” dell’insurrezione del 1905 ma non ha l’ardore di considerare tale eventualità uno strumento per la transizione al socialismo come è stato insegnato a credere da decenni al proletariato italiano dal secondo dopoguerra in poi, ma una eventualità “miserabile” e “bastarda”. Le conquiste democratiche non sono il fine in sé e neppure una semplice “arma tattica” come a volte sembra voler far intendere Lenin, ma il trampolino di lancio della rivoluzione socialista.

Rosa ha ben chiaro come nessuna rivoluzione nasca “pura”, ma che invece procedendo, affini i suoi caratteri, depuri le sue rivendicazioni, si ponga come “altro” rispetto all’ordine costituito: “Certamente, nella loro prima apparizione pubblica all’opera di Pietroburgo le masse hanno anche portato alla superficie ogni sorta di scorie, comprese le illusioni di la benevolenza dello zar insieme a capi sconosciuti e fortuiti attinti dal passato [ma] appare chiaramente il potente, sano, rapido germe crescente della coscienza di classe puramente proletaria e anche quella semplice idealista eroica – senza le pose e senza i cuscinetti teatrali del grandi momenti storici borghesi – e questo è un sintomo certo e tipico di tutti movimenti di classe del proletariato moderno e illuminato”.

La rivoluzione russa come rivoluzione in permanenza

La rivoluzionaria polacca non nega che persino i socialisti russi ne siano stati sorpresi (in fondo l’organizzazione rivoluzionaria sconta sempre inevitabilmente degli elementi di conservazione anche se come si vedrà ben presto nel 1905 leader socialisti del calibro di Trotsky ne prenderanno la direzione) ma sottolinea come senza una politica socialista condotta in modo sistematico tra le masse, l’emergenza rivoluzionaria avrebbe potuto assumere caratteristiche diverse. “È vero, anche la prima rivolta di massa della classe operaia di Pietroburgo, senza dubbio, è stata una sorpresa per la stessa socialdemocrazia russa e che la leadership della grandiosa rivolta politica apparentemente non è nelle mani della socialdemocrazia. Di conseguenza, alcune persone sono state inclini a sostenere che gli eventi hanno “superato” la socialdemocrazia russa. Se si intende con ciò dire che la crescita elementare del movimento nella sua estensione e rapidità è andato oltre i calcoli degli agitatori e oltre i disponibili forze e mezzi per il loro controllo della leadership, ciò è, in una certa misura, applicabile all’attuale situazione in Russia. Ma […] se si intende con ciò che nel corso tempestoso della rivoluzione i suoi obiettivi sono andati ben oltre le aspettative dei rivoluzionari, segnaleremo che la socialdemocrazia è oggi praticamente l’unico fattore nella vita pubblica nel regno zarista che gli eventi di Pietroburgo non hanno “superato” ed è intellettualmente in pieno controllo della situazione”.

È stato proprio il “dogma” marxista a consentire la socialdemocrazia russa di prevedere con certezza quasi matematica, nonostante le bizzarre peculiarità delle relazioni sociali russe, gli ampi contorni dello sviluppo capitalista più di venti anni fa e anticipare e attuare le sue ricadute rivoluzionarie attraverso un’attività metodica”.

Il ruolo del proletariato internazionale

Una settimana dopo, il 4 febbraio, Luxemburg torna a scrivere di Russia in un denso articolo (“Dopo il primo atto”) abbandonando definitivamente l’idea delle immaturità del proletariato russo a giocare un ruolo decisivo nella rivoluzione internazionale: “Questa è l’importanza duratura dell’ultima settimana di gennaio, che farà epoca nella storia del proletariato internazionale e della sua lotta per l’emancipazione. Per la prima volta, il proletariato russo è entrato nell’arena politica come forza indipendente; ha ricevuto il suo battesimo storico nel sangue durante la macelleria del 22 gennaio, proprio come fece il proletariato parigino nella macelleria del giugno [1848], e si è unita alla famiglia internazionale dei proletariato combattivo come nuovo membro attivo.

Lo studioso marxista argentino Daneil Gaido ricostruendo la genesi della teoria della rivoluzione in permanenza ha affermato in modo convincente che “quasi in tutti gli scritti di Rosa Luxemburg tra

Il febbraio e il dicembre 1905 si va sviluppando l’idea che la rivoluzione russa non sia puramente borghese ma un fenomeno storico sui generis che combinava caratteristiche borghesi e proletarie. Ad esempio, nell’aprile del 1905 scrive nel suo giornale polacco: “L’attuale rivoluzione anche nel nostro paese come nel resto del regno zarista ha un duplice significato. Nei suoi obiettivi immediati, è una rivoluzione borghese. Il suo obiettivo è l’introduzione della libertà politica nello stato zarista, la repubblica e l’ordine parlamentare che, con il dominio del capitale sul lavoro salariato è nient’altro che una forma avanzata dello Stato borghese, una forma del dominio di classe della borghesia sul proletariato. Ma, in Russia e Polonia, questa rivoluzione borghese non è realizzata dalla borghesia, come in precedenza era avvenuto

in Germania e Francia, ma dalla classe operaia. Da una classe operaia che è al massimo grado consapevole dei suoi interessi di classe; una lotta di classe che non ha conquistato la libertà politica per la borghesia ma, al contrario, con il obiettivo di facilitare la propria lotta contro la borghesia con l’obiettivo di accelerare il trionfo del socialismo. Per questa ragione, l’attuale rivoluzione è allo stesso tempo una rivoluzione dei lavoratori.

Pertanto, la lotta contro l’assolutismo in questa rivoluzione deve andare di pari passo con la lotta contro il capitale, contro lo sfruttamento””.

Ma è nello scritto del dicembre del 1905 che l’internazionalista polacca traccia il bilancio e le future coordinate del processo rivoluzionario in Russia. Ogni rivoluzione ricorda Luxemburg è intimamente internazionalista, anche quella russa che appare ancora a troppi socialisti occidentali “arretrata”.

L’attuale rivoluzione russa è un fenomeno molto più contraddittorio rispetto a tutte le precedenti rivoluzioni. Le forme politiche del moderno dominio di classe borghese è stato qui vinto attraverso la lotta non della borghesia, ma della classe operaia contro la borghesia. Ma la classe operaia, anche se – o meglio perché – è apparsa per la prima volta come elemento indipendente cosciente della classe, lo ha fatto senza le illusioni utopico-socialiste condivise con la piccola borghesia delle precedenti rivoluzioni borghesi. Il proletariato in Russia non si prefigge il compito di realizzare il socialismo oggi, ma prima di creare i presupposti borghesi per la realizzazione del socialismo. Ma il fatto che questa società borghese derivi dall’opera del proletariato cosciente gli conferisce anche un carattere assolutamente peculiare. È vero, la classe operaia in Russia non vede come suo compito immediato nella realizzazione socialismo, ma ancor meno si prefigge il compito di assicurare l’inviolabile e dominio incontrastato del dominio di classe capitalista, come il risultato del rivoluzioni borghesi dei secoli precedenti in Occidente. Invece, il proletariato in Russia guida la lotta sia contro l’assolutismo sia contro il capitalismo contemporaneamente. Vuole solo le forme della democrazia borghese – ma li vuole per sé, ai fini di lotte di classe proletaria. Vuole la giornata lavorativa di otto ore, la milizia popolare, la repubblica, rivendicazioni chiare che sono destinate alla società borghese e a quella socialista. Ma queste richieste allo stesso tempo si spingono così nettamente al di fuori dei limiti del dominio del capitale da apparire come forme di transizione verso la dittatura proletaria. Il proletariato in Russia sta lottando per la realizzazione dei più elementari diritti costituzionali borghesi: il diritto di riunione e associazione, la libertà di organizzazione, la libertà di stampa. Ma già ora, nella tempesta della rivoluzione, ha usato queste libertà borghesi per la creazione di tali potenti organizzazioni di classe – sindacati e socialdemocrazia – che, nel corso della rivoluzione, la classe che è formalmente chiamata a governare, la borghesia, emerge con una debolezza senza precedenti mentre la classe formalmente governata, il proletariato, conquista una posizione senza precedenti. […] In termini di contenuto e metodi, è quindi completamente un nuovo tipo di rivoluzione. Essa è formalmente democratico borghese, ma è nell’essenza proletario-socialista sia nel contenuto che nel metodo”.

Secondo intermezzo: il legame tra rivoluzione polacca e rivoluzione russa

Nel 1907 quando la rivoluzione del 1905 è stata ormai sconfitta e il movimento socialista si prepara a una “lunga traversata nel deserto” con il riflusso delle lotte operaie e la galera e l’esilio per molti dei suoi migliori militanti, Rosa partecipa come delegata al Congresso del Partito Socialdemocratico momentaneamente riunificatosi. Qui nel suo intervento malgrado critichi un troppo malcelato entusiasmo dei bolscevichi nei confronti dell’insurrezionalismo, dirige la propria critica principalmente contro la destra menscevica che vorrebbe ridurre un movimento che ha espresso l’ascesa del 1905 a un orpello dei partiti borghesi russi. Non è un caso che sono i Plechanov e i Dan’ a fare l’apologia della borghesia nazionale russa e a cacciare nell’angolo della reazione i contadini. Ecco come come Rosa attacca i menscevichi su quest’ultimo punto. “È certamente un peccato contro la dialettica storica quello di ripetere meccanicamente lo schema dei contadini classe reazionaria e piccolo-borghese, senza tener conto del ruolo di quella stessa classe contadina in un periodo rivoluzionario. Il ruolo dei contadini, e il rapporto del proletariato con essi, sono determinati esattamente allo stesso modo di quello con la borghesia – non in relazione ai desideri soggettivi e agli sforzi di queste classi ma dalla loro posizione oggettiva. Nonostante tutte le dichiarazioni e i programmi liberali pubblicati, la borghesia russa è una classe oggettivamente reazionaria perché la difesa dei suoi interessi nella società attuale e nelle circostanze storiche richiedono la liquidazione più veloce possibile del movimento rivoluzionario attraverso un marcio compromesso con l’assolutismo. Quanto ai contadini, nonostante tutta la confusione e la contraddizione delle loro esigenze, e nonostante tutta le nebbie e le ambiguità dei loro sforzi, nell’attuale rivoluzione sono un fattore oggettivamente rivoluzionario perché, ponendosi nella rivoluzione all’ordine del giorno, e nel modo più acuto, la questione della terra, pone quindi una domanda che non può essere risolta entro i limiti della società borghese e per sua stessa natura e si pone oltre l’attuale società”.

E sferza la “destra dei partito” ricordandole che non si entra in campo nella battaglia rivoluzionaria solo se la vittoria è garantita in anticipo, cosa che del resto non avviene praticamente mai.

Penso che il proletariato russo debba avere il coraggio e la determinazione di confrontarsi con tutto ciò che lo sviluppo storico ha determinato, che deve, se necessario, e anche a prezzo di sconfitte, giocare in questa rivoluzione il ruolo di avanguardia in relazione all’esercito mondiale del proletariato, rivelando nuove contraddizioni, nuovi compiti e nuovi metodi di lotta di classe, lo stesso ruolo che il proletariato francese ha giocato nel XIX secolo. Credo che nella sua tattica il proletariato russo debba essere guidato nel complesso non da calcoli di sconfitta o vittoria, ma esclusivamente dai compiti storici che si assume, ricordando che le sconfitte del proletariato, derivanti dalla portata rivoluzionaria della sua lotta di classe, è solo la locale e temporanea manifestazione del suo movimento mondiale in avanti, e che queste sconfitte sono gli inevitabili passi storici che portano alla vittoria finale del socialismo.

Le tragedie e le rivoluzioni russe

Poi per lunghi anni, pubblicamente e sulla carta stampata, Rosa non prenderà più la parola sulla Russia. Lo stesso saggio La rivoluzione russa verrà dato alle stampe dal partito comunista tedesco solo post mortem il cui valore è implicitamente riconosciuto dal fatto nella Germania orientale questo scritto troverà modo di essere pubblicato a bassa tiratura solo negli anni ’70 del ventesimo secolo e per la Russia si dovranno attendere gli anni ’90. In realtà la sua copiosa corrispondenza dimostra quanto malgrado le mille difficoltà e la galera, Rosa continuò ad osservare da vicino quanto stava avvenendo nell’impero russo. In una lettera a Luise Kautsky del 24 novembre 1917 annota: “Gli eventi in Russia per le donne sono di straordinaria grandezza e tragedia. Lenin e il suo popolo non saranno ovviamente in grado di vincere contro il groviglio insuperabile del caos, ma il loro tentativo, da solo, si pone come un atto di significato storico-mondiale e una vera pietra miliare…”. E poi ironizza sarcastica sul ruolo dei “proletariati più avanzati”: “Sono sicura che i nobili proletari tedeschi, proprio come i lavoratori francesi e inglesi, al momento opportuno osserveranno con calma mentre i russi sanguineranno a morte”. E in una lettera a Adolf Warski a cavallo tra novembre e dicembre riporta la stessa posizione espressa in La tragedia russa a proposito di quanto si producendo con l’accordo di pace di Brest-Litovsk ma anche la sua indomito ottimismo rivoluzionario.

Se [come capisco] il nostro partito (in Polonia) è pieno di entusiasmo per il bolscevismo e allo stesso tempo (in un opuscolo stampato segretamente) si è dichiarato contro il trattato di pace dei bolscevichi di Brest e contro il loro uso dello slogan di propaganda “autodeterminazione delle nazioni”, allora è un entusiasmo combinato con il pensiero critico: cosa possiamo desiderare di più da noi stessi! Anch’io ho condiviso tutte le tue riserve e i dubbi, ma le ho lasciate cadere sulle domande più importanti […] L’uso del terrore indica certamente una grande debolezza, ma è diretto contro i nemici interni che basano le loro speranze sull’esistenza del capitalismo al di fuori della Russia, ricevendo sostegno e incoraggiamento da quest’ultimo. Con l’avvento della rivoluzione europea, i controrivoluzionari russi perderanno non solo il sostegno [dall’estero] ma anche – cosa più importante – il loro coraggio. Pertanto l’uso del terrore bolscevico è soprattutto un’espressione della debolezza del proletariato europeo. Certamente, le relazioni agrarie che sono state stabilite sono l’aspetto più pericoloso, il peggior punto dolente della rivoluzione russa. Ma anche qui c’è una verità che si deve applicare: anche la più grande rivoluzione può realizzare solo ciò che è maturato a seguito dello sviluppo [storico]. Questo punto dolente può anche essere guarito solo dalla rivoluzione europea. Che sta sta arrivando!”

La nostra rassegna ovviamente non si può non concludere con alcuni stralci da La rivoluzione russa, il saggio più denso di rimandi in relazione poi al percorso accidentato che ebbe la rivoluzione internazionale e soprattutto del suo irreparabile scivolamento verso la burocratizzazione prima e lo stalinismo poi. In questo senso le considerazioni della dirigente socialista restano di stringente attualità e si proiettano nelle rivoluzioni di domani.

La rivoluzione russa è l’evento più notevole della guerra mondiale. Il suo scoppio, il suo radicalismo senza precedenti, il suo effetto duraturo, smentiscono nel migliore dei modi le frasi con cui la socialdemocrazia tedesca ufficiale, con grande zelo, ha sulle prime ammantato ideologicamente la campagna di conquiste dell’imperialismo tedesco: le frasi della missione delle baionette tedesche che dovevano abbattere lo zarismo e liberare i popoli da esso oppressi.

Il corso della guerra e della rivoluzione russa ha dimostrato non la immaturità della Russia, ma quella del proletariato tedesco a compiere la sua missione storica; quindi il compito principale di un esame critico della rivoluzione russa è di far emergere ciò con la massima chiarezza. Nei suoi destini la rivoluzione russa dipendeva in tutto e per tutto dalla rivoluzione internazionale. Il fatto che i bolscevichi abbiano puntato completamente la loro politica sulla rivoluzione mondiale del proletariato è la prova più evidente del loro lungimirante acume politico, della loro fedeltà ai principi, e dell’audace slancio della loro politica. Con ciò, i bolscevichi hanno risolto la famosa questione della “maggioranza della popolazione” che, da sempre, pesa come un incubo sul petto dei socialisti tedeschi. Lattanti incarnati del cretinismo parlamentare, essi trasferiscono semplicemente alla rivoluzione l’insegnamento domestico della piccola classe parlamentare: “Per far passare qualcosa, occorre innanzitutto avere la maggioranza!”. Ugualmente, per conseguenza, nella rivoluzione: “Diventiamo prima maggioranza”. La vera dialettica della rivoluzione rovescia questo precetto di talpa parlamentare; non è: per la maggioranza alla tattica rivoluzionaria, è: per la tattica rivoluzionaria alla maggioranza che va il cammino. Solo un partito che sa condurli, cioè spingerli avanti, guadagna nella tempesta la massa degli aderenti”.

Qui Rosa dimostra di non avere, e di non di non sopportare, ogni principio democraticistico nel farsi di processi complessi e radicali per loro stessa natura come una rivoluzione. Questo però non le impedisce di criticare aspramente lo stato maggiore della rivoluzione.

Contro il “terrore rosso”

Indubbiamente, ogni istituzione democratica ha i suoi limiti ed i suoi difetti, ciò che, del resto, è comune ad ogni istituzione umana. Ma, il rimedio inventato da Lenin e Trotsky, cioè la soppressione della democrazia in generale, è peggiore del male che è ragionevole guarire: tale rimedio soffoca, infatti, la fonte viva dalla quale solamente possono scaturire le correzioni a tutte le insufficienze congenite delle istituzioni sociali: la vita politica attiva, senza intralci, energica, delle più larghe masse della nazione.

Per quanto riguarda gli attentati a questi diritti, l’argomentazione di Trotsky sulla pesantezza degli organismi democratici eletti è tutt’altro che concludente. Al contrario, è un fatto notorio e incontestabile che appunto senza una libertà illimitata della stampa, senza una vita di associazioni e di riunioni libera d’ostacoli, è assolutamente impossibile concepire la dominazione di grandi masse popolari. Lenin dice che lo stato borghese è uno strumento d’oppressione della classe operaia, lo Stato socialista uno strumento d’oppressione della borghesia. Quest’ultimo sarebbe semplicemente lo Stato capitalista tornato, per così dire, a testa bassa. Questa concezione semplicistica dimentica l’essenziale: la dominazione di classe della borghesia non aveva bisogno d’una istruzione e d’una educazione politica di tutta la massa del popolo, o almeno non al di là di certi limiti molto stretti. Per la dittatura proletaria, questi sono gli elementi vitali senza i quali essa non può vivere. «Grazie alla lotta aperta ed immediata per il potere politico, le masse operaie accumulano in pochissimo tempo una grande esperienza politica, e salgono in fretta nella loro evoluzione, un gradino dietro l’altro». Qui lo stesso Trotsky confuta se stesso e i propri amici e partigiani. Giustamente, perché ciò è vero; essi hanno dunque, sopprimendo la vita pubblica, chiuso le fonti dell’esperienza politica e del progresso dell’evoluzione. Allora, o bisognerebbe ammettere che esperienza ed evoluzione erano necessarie fino alla presa del potere da parte dei bolscevichi, ma che allora esse avevano raggiunto il più alto grado e divenivano d’ora in poi superflue (Discorso di Lenin: «La Russia è fino all’evidenza matura per il socialismo»). In realtà, è tutto il contrario. I compiti giganteschi ai quali i bolscevichi si sono messi con coraggio e risoluzione reclamavano precisamente la più intensiva educazione politica delle masse e l’accumulazione d’una esperienza che non è mai possibile senza libertà politica. La libertà riservata ai soli seguaci del governo, ai soli membri di un partito, fossero essi pure numerosi, non è la libertà. La libertà è sempre la libertà che pensa diversamente”.

La frase che chiude questa citazione è celeberrima ma in qualche caso mal intesa. Non si tratta della “democrazia astratta” che rivendica la comunista polacca quanto quella libertà di discussione e di confronto che rendono viva e partecipata un’esperienza rivoluzionaria. La repressione che colpì non solo i controrivoluzionari ma anche egli anarchici, i socialrivoluzionari e menscevichi di sinistra e non a caso apriranno la strada al dibattito libero e franco anche all’interno dello stesso partito bolscevico.

Tutta la massa popolare deve parteciparvi. Altrimenti, il socialismo viene decretato, concesso a una dozzina di intellettuali insediati nei loro uffici. È necessario un totale controllo pubblico. In caso contrario, lo scambio delle esperienze è possibile solo nella cerchia limitata dei burocrati del nuovo governo. Corruzione inevitabile. (Parole di Lenin, Mitteilungsblatt n. 29) La prassi del socialismo esige una totale trasformazione intellettuale delle masse abbrutite da secoli di dominazione borghese. Istinti sociali invece di istinti egoisti, iniziativa delle masse invece dell’inerzia, idealismo al di sopra di ogni sofferenza, e così via. Nessuno sa ciò meglio di Lenin, né lo descrive e ripete con maggior forza ed ostinazione. Ma egli si sbaglia completamente quanto ai mezzi da usare: decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, penalità draconiane, regno del terrore, sono altrettanti palliativi. L’unica via che conduce alla rinascita è la scuola stessa della vita pubblica, la più larga e illimitata democrazia, l’opinione pubblica. È proprio il terrore che demoralizza. Tolto tutto questo, che cosa rimane? Lenin e Trotsky hanno sostituito ai corpi rappresentativi, usciti dalle elezioni generali popolari, i Soviet, come la sola rappresentanza effettiva delle masse operaie. Ma, soffocando la vita politica nell’intero paese, è fatale che la vita sia paralizzata negli stessi Soviet. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata della stampa, senza libera lotta fra le opinioni, la vita si spegne in tutte le istituzioni pubbliche, diventa apparente e l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. È una legge alla quale nessuno può sottrarsi. La vita pubblica entra a poco a poco nella sonnolenza: qualche dozzina di capi di partito, muniti di una inesauribile energia e di sconfinato idealismo, dirigono e governano; fra essi la direzione è praticamente nelle mani di una dozzina di uomini eminenti, una élite della classe operaia viene, ogni tanto, convocata in assemblea per applaudire i discorsi dei capi, votare all’unanimità le risoluzioni che vengono proposte (è in fondo un governo di cricca) una dittatura, è vero, ma non la dittatura del proletariato, no: la dittatura di un pugno di politici, cioè una dittatura nel senso borghese, nel senso giacobino, (il rinvio dei Congressi dei Soviet da tre mesi a sei mesi!). Ma vi è di più: un simile stato di cose genera necessariamente un aumento di ferocia nella vita politica; attentati, fucilazioni di ostaggi, ecc.”

Tuttavia, malgrado la nettezza della condanna dei metodi del “terrore rosso”, la sua solidarietà con la rivoluzione resta senza tentennamenti e si proietta nel futuro.

Col loro atteggiamento risolutamente rivoluzionario, l’esemplare forza d’azione e l’inviolabile fedeltà al socialismo internazionale, essi hanno fatto l’inverosimile in condizioni difficili. Il pericolo comincia nel momento in cui, facendo di necessità virtù, cristallizzano in nuova teoria la tattica alla quale li hanno costretti queste fatali condizioni e vogliono raccomandarla quale esempio al proletariato internazionale come il modello di tattica socialista da imitare.

A questo riguardo i Lenin e i Trotsky con i loro compagni sono stati i “primi” all’avanguardia nei confronti del proletariato mondiale con il loro esempio; sono finora ancora i “soli” che possano esclamare con Ablich de Hutten: “Io ho osato!”. È l’essenziale e ciò che rimane della politica bolscevica. In tal senso resta loro il merito imperituro nella storia d’essersi messi alla testa del proletariato internazionale conquistando il potere politico e mettendo in pratica il problema della realizzazione del socialismo, come d’aver potentemente spinto innanzi la liquidazione fra Capitale e Lavoro nel mondo. In Russia il problema poteva solo essere posto ma non risolto. È in tal senso che l’avvenire appartiene ovunque al “bolscevismo””.

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