I Blues Brothers, il gelo di Mosca e l’arresto di Navalny






DI YURII COLOMBO

Le strade da e per i principali aeroporti bloccati, elicotteri che volteggiavano sulla capitale, ingressi ai check-in e alle uscite passeggeri militarizzati, ieri è andato in scena l’arresto di Alexey Navalny al suo rientro in Russia dopo essere stato avvelenato in Siberia circa 5 mesi fa e poi curato presso una clinica in Germania. Alla fine il volo di linea Pobeda Berlino -Mosca che riportava il blogger a casa è stato persino dirottato da Vnukovo a Sheremetivo per evitare il contatto tra Navalny e i suoi sostenitori prima di essere arrestato e condotto in punto di polizia cittadino. Un po’ troppo forse per uno blogger che “non serve a nessuno” come lo ha sprezzantemente definito Putin nella sua conferenza di fine anno dopo aver negato che i servizi russi avessero cercato di ucciderlo usando l’agente chimico Noviciok.

E così di fronte a scene che ridicolmente ricordavano l’arresto dei Blues Brothers, Navalny diventa inevitabilmente simpatico un po’ a chiunque.

La Russia sta vivendo un periodo assai triste. In autunno il governo ha deciso di non reiterare le misure di lockdown ma resta intatto il divieto di qualsiasi manifestazione politica. Mosca, intimorita e sotto una cappa di gelo che non si vedeva da anni, si è racchiusa in un bozzolo. Poca gente per le strade, incertezza per il domani con i padiglioni del Vdnkh trasformati in ospedali da campo (efficienti a dire il vero). Politica messa in mora e un Cremlino che oggi appare inespugnabile. E manco a farlo apposta il ministro degli esteri russi, Sergey Lavorov, ha confermato che “non esistono le condizioni per aprire un procedimento penale per quanto riguarda il suo avvelenamento in Russia”.

Navalny incarna i settori della società russa cresciuti nel primo decennio del 2000, quelli del boom con il rublo a 30 contro l’euro e un’euforia che si percepiva anche in occidente quando iniziarono a far capolino come turisti non solo i “nuovi russi” ma anche il ceto medio (piccolo e medio business in sostanza) che assaporava i tepori del petrolio stabilmente sopra i 100 dollari al barile.

Di settori anche della gioventù urbana che iniziavano a viaggiare e confrontarsi con altre culture. Il movimento di Navalny e l’“area liberale” rappresentano essenzialmente questo: i definitivamente esclusi dal benessere nel secondo decennio del 2000, rimasto ad appannaggio dei cinovniki e di chi ruota intorno a ciò che più conta in Russia, ovvero l’apparato della difesa e dell’esportazione delle materie prime. Non è un caso che tutta propaganda politica di Navalny ruoti intorno al tema della corruzione, eterno problema della burocrazia e dei boiardi anche nel XXI secolo. Ogni tanto Navalny accarezza anche tematiche sociali (riforme delle pensioni, inflazione) ma lo fa sempre in chiave populista oscillando tra posizioni di estrema destra ed estrema sinistra.

Navalny, va detto, ha del fegato. Avrebbe potuto restare in Germania a fare l’oppositore in esilio, in attesa di tempi più propizi, ma ha deciso di tornare a casa, con la prospettiva di subire carcerazione dopo carcerazione.

Le accuse giudiziarie che gli si muovono (aver sottratto fondi donati dai suoi stessi sostenitori ad uso personale) sono risibili, visto che nelle decine di perquisizioni effettuate per alcuni anni dal fsb e dalla polizia negli uffici del suo movimento avrebbero dirette a trovare prove o perlomeno indizi che egli era finanziato da agenzie straniere. Ci si è dovuti sempre accontentare, al Cremlino, “di sapere” che è manovrato dalla Cia. Insomma la vecchia tesi della quinta colonna, di staliniana memoria. Così, inevitabilmente, Navanly diverrà sempre di più il magnete di buona parte delle aspirazioni democratiche in Russia. 

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