La controffensiva ucraina e le prospettive del putinismo






Sono passate ormai 72 ore dall’inizio della controffensiva dell’esercito ucraino.

Putin ha dichiarato l’8 giugno che “possiamo dire con certezza che [l’offensiva ucraina] è iniziata, l’uso delle riserve strategiche lo testimonia”, e in secondo luogo, “le truppe ucraine non hanno raggiunto i loro obiettivi in nessuna area, grazie al coraggio dei soldati e alla corretta organizzazione delle truppe”. Che le cose non siano andate per il meglio per il Tridente è evidente non solo dalle risposte imbarazzate del vice ministro della Difesa ucraina Hanna Malyar.I resoconti delle operazioni militari apparsi sulla stampa tedesca confermano di fatto le perdine in mezzi e uomini, seguita ai primi assalti. Lo stesso Institute for Study War americano, apertamente filo-ucraino è costretto ad ammettere che qualcosa è andato storto anche se “il potenziale bellico ucraino è lungi dall’essere stato messo fuori combattimento”. Si tratta di elemento, sottolineato da Putin stesso nel suo briefing.

E’ impossibile prevedere cosa succederà nelle prossime settimane sui fronti ma se la controffensiva ucraina fosse stoppata lo svantaggio psicologico russo (la necessità di porsi sulla difensiva) dopo la sola presa di Bukhmut dall’inizio della mobilitazione parziale, potrebbe ridursi. E’ chiaro  che un vantaggio come quello della sorpresa del blitz del 24 febbraio non ci sarà più per il Cremlino ma si potrebbe tornare a giocare sulle contraddizioni e le incertezze occidentali, senza contare che Putin potrebbe affrontare il plebiscito presidenziale previsto per la prossima primavera con maggiore baldanza. Allora una tregua non dichiarata, una “no war” potrebbe iniziare a configurarsi come un “male inevitabile” per entrambe le parti in gioco. Ciò ancora non contraddirebbe l’ipotesi della “guerra di lunga durata”, una guerra di anni anche se i fattori extra-bellici sono tanti e insondabili.

Al contrario se la Russia dovesse subire ulteriori arretramenti, perfino la situazione interna potrebbe riaprirsi perché è evidente che il regime putiniano basa a questo punto la sua stabilità su quell’“orgoglio guerresco” che quando è stato incrinato nel passato (guerra di Crimea, 1905 e 1917) ha prodotto, in modi diversi, trasformazioni profonde del suo orizzonte politico.

Abbiamo già sostenuto nel libro “La Russia dopo Putin” che il Cremlino viaggia senza bussola e senza prospettive. E non abbiamo motivo di cambiare idea.

Alcune dinamiche del regime assomiglia sempre più a quella brezneviano: il suo personale-politico  è costituito da uomini al potere ormai da 20 anni con uno scarsissimo ricambio generazionale. Il tempo gioca a loro sfavore, ma nell’immediato la loro esperienza gli permette di gestire i marosi.  Senza, indulgere in ottimismo, restiamo in attesa fiduciosa nell’inevitabile dopo Putin e della rinascita democratica della Russia, senza la quale non ci sarà prospettiva progressiva per tutto il Vecchio Continente.

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