Iurij Pimenov, tra impressionismo e lirismo sovietico






In copertina “Novaja Moskva” (Nuova Mosca, 1937) forse l’opera più nota di Pimenov.

di Yurii Colombo

Sono assai contento aver messo da parte la patina di noia che avvolge ogni domenica mattina moscovita invernale e messa sotto braccio mia moglie mi sia spinto a vedere la mostra di Iurij Pimenov. Giungendo da Naberžnaja, nel cimitero dei monumenti sovietici, sembra che Feliks Dzeržinskij, lo spilungone, mi guardi torvo, ma è solo un’impressione…

Non so perché (conoscevo solo le sue tele esposte della permanente della Novaja Tretjakovskaja) e mi ero ripromesso al ritorno dal soggiorno italiano di non perdermi Iuri Pimenov e ora lo posso  dire: sono stati qualche ora e oltre che un pugno di rubli spesi bene.

Se l’opera di Pimenov viene suddivisa in 4 periodi (Nuovo Realismo della seconda metà del Anni ’20, Impressionismo anni ’30, Post-Bellico e i “Novij Kvartaly” – i nuovi quartieri – degli anni ’60-’70 a cui si deve aggiungere l’intermezzo bellico) sono stati gli ultimi due ad attirare maggiormente la mia attenzione. Sono i temi legati all’epoca dell’Ottepel’ (Disgelo) e a quella brezneviana su cui mi sono soffermato con nel mio ultimo libro Urss, un’ambigua utopia che ho definito come epoche del “reload” e del “socialismo 2.0” dopo il disastroso esordio del socialsimo mande in Ussr 1917-1953. Pimorov affronta con freschezza – le sue origini di illustratore glielo consentono – i temi forti del secondo dopoguerra sovietico: la conquista della quotidianeità, della dimensione privata, dell’urbamizzazione accelerata che impone nuovi stili di relazioni sociali. Si tratta di una dimensione dell’era cruscioviana poco conosciuta in Occidente che declina nella sfera del lifestyle del baby boomer sovietico la cosiddetta “costruzione del socialismo” di cui il Festival della Gioventù del 1957 ne fu il passaggio più entusiasmante.

Non è un caso che per l’apertura proprio della retrospettiva sul Disgelo del 2017, anch’essa promossa dalla Nuova Tretjakovkaja si fosse scelto come copertina lo splendido olio su cartone Begom čerez ulizu (Correre attraverso la via, 1963) che contrappone all’allegria corsa su tacchi a spillo di una pattuglia di adolescenti la staticità dei mezzi di trasporto fermi al semaforo. Una metafora in cui alla dimesione vitalistica umana si confronta – senza opporvisi – alle macchine.

          Begom čerez ulizu

Anastasja Kurljandceva nel suo pezzo sul tema inserito del bellissimo catalogo della mostra ne coglie anche la dimesione cinematografica, fotogramma di un film in buona parte ancora da girare. Ma forse le opere che ancora meglio rappresentano questa fase creativa di Pimenov sono Svad’ba na zavtrasnej ulizi (Nozze sulle strade di domani) di un anno precedente a Begom ma ancora di più Pervye modnizy novogo kvartala (Le prime modaiole del nuovo rione) (1961) e soprattutto Okraina (Periferia) del 1964 in cui le similitudini con periferie metropolitane italiane è in buona parte formale visto la dimensione del soviet dream resta ancor oggi incomprensibile e inaccessibile all’occhio e all’intelletto occidentale. Pimenov è riuscito a esprimere questa dimensione che sconfina in uno stato d’animo, anzi, stato dell’anima anche in forma scritta:

Amo questi nuovi quartieri nelle grandi città – nella loro incompletezza, anche nei loro malfunzionamenti, in loro vive l’anima giovane del nuovo. Queste nuove case e quartieri non sono solo progetti architettonici e immagini su riviste – sono la disposizione delle persone in modi nuovi, sono matrimoni e feste di inaugurazione di case, sono il pendolarismo mattutino, spesso difficile e scomodo, sono le folle di bambini in cortili non ancora puliti, sono nuovi i vicini, tra i quali molte sono persone buone. I suoni penetranti della radio dalle finestre d’estate, le calde serate di luglio vicino ai portici e gli spifferii di dicembre tra le case…

Nuove città, nuovi distretti e quartieri danno vita alla loro speciale poesia, al loro speciale carattere di vita – dal momento in cui la terra comincia a dispiegarsi in un nuovo luogo, il lento e costante movimento di enormi gru appare nei cantieri, il flusso e riflusso mattutino e serale della gente che lavora, la semplice, ordinaria e bella immagine della creazione, dell’immagine del lavoro umano…

Gli abitanti di queste case sanno che il gas non è ancora collegato e il riscaldamento non è ancora installato, che i negozi sono ancora chiusi e che gli ascensori non funzionano. Ma queste case non conoscono i bombardamenti notturni, non conoscono i sigilli alle finestre, le stanze gelate, i soffitti crollati a causa di esplosioni, non conoscono la guerra e la paura.

Le cose sono sempre con noi e sono cose diverse. Alcune un giorno spariranno, altre vivranno con noi fino alla fine: rimangono nel nei nostri giorni del coma e nella camera ardente. Le cose che circondano le persone non sono morte. Le cose possono essere tristi o allegre, influenzano le persone, le aiutano o le rattristano, lasciano ricordi e provocano urgenti desideri. Le stesse cose in momenti diversi e in occasioni diverse sono drammaticamente diverse – i fiori del matrimonio e i fiori sulle tombe non si assomigliano affatto, anche l’odore è diverso.

Una persona deve essere in grado di capire le cose, di essere in grado di vedere la sua strada nella vita, di vedere cosa c’è dietro.

Senza questo senso affascinante, il mondo sarebbe privato di un’altra poesia della realtà, le cose resterebbero solo noiosi numeri d’inventario.

Se i vetri delle finestre macchiati nei giorni di manutenzione, la carta di giornale macchiata sul pavimento sono intesi solo come sporcizia e come un problema – il senso del domani scomparirà dalla vita, la freschezza di un nuovo giorno scomparirà. Solo se la bellezza delle cose semplici della vita e del lavoro viene compresa da noi in modo che non sia banale o da salotto, allora dietro ogni cosa vista con l’anima ci sarà la bellezza della vita…”

 

 

      Svad’ba na zavtrasnej ulizi,       1962

Pervye modnizy novogo kvartala, 1961

Okraina, 1964

A far da filo conduttore (filo conduttore che attraversa tutte le fasi della sua opera) sono le djačen’ky, le fanciulle, le adolescenti e in genale le donne sovietiche. Se la sottorreanea contrapposizione tra donne e istituzioni, tra società civile costituente femminile e Stato in Urss non può trovare spazio nell’opera di Pimenov che resta dal punto di vista politico un artista mainstrem, tuttavia va ricordato che assieme al regista Michail Romm e Andrej Sacharov ebbe sufficientemente la schiena diritta per far parte di quella pattuglia di 25 intellettuali di punta sovietici che firmò l’appello a Brežnev contro la “tendenza alla riabilitazione parziale o indiretta di Stalin” nel 1966.

Dispiace che molto turisti a causa delle note ragioni non potranno entro il 9 gennaio venire a Mosca per vedere – anche – questa bellissima esposizione messa insieme in diverse musei della Federazione e collezioni private.

Per continuare a fare questo lavoro abbiamo bisogno del vostro sostegno, anche piccolo.


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