Il dopo Navalny non passerà per Yavlinsky






Un recente articolo di Grigory Yavlisnky intitolato “Senza populismo e putinismo” ha prodotto un certo di dibattito oltre che polemiche nel variegato mondo dell’opposizione russa. Nei confronti diYavlsinsky sono state sprecate perfino accuse di essere entrato nella manica di Putin come “oppositore di sua maestà”, perché rappresenta un attacco frontale a Alexey Navalny da parte di uno dei leader storici dell’opposizione liberale al regime di Putin, già membro del governo in epoca gorbacioviana e fondatore del partito russo liberale più antico oggi presente sulla scena, Yabloko (La Mela) .

Cosa ha scritto Yavlinsky da far sobbalzare sulla sedia più di un oppositore russo? Yavlsinky muove dal fatto che le manifestazioni gennaio e inizio di febbraio essendosi sviluppate senza una strategia e contro un potere politico e repressivo ancora ben saldo conducono solo alla demoralizzazione e al ritardo della costruzione di un’opposizione che possa cambiare i rapporti di forza nel paese. E sull’errata percezione che Putin possa essere sull’orlo del collasso.

Le proteste, di fatto farebbero il gioco del sistema: “Negli ultimi anni, la politica informativa delle autorità riguardo alla copertura delle proteste è passata dal completo silenzio sui media da esse controllate ad un’analisi propagandistica dettagliata delle azioni di piazza al fine di screditare ogni opposizione. In questa prospettiva, risulta ovvio che il regime utilizzerà le proteste per “stringere i bulloni” e “bonificare lo spazio” ancora più strettamente prima delle elezioni per la Duma in autunno.

Non si dovrebbe credere che le proteste spaventino le autorità o siano una sorpresa per il Cremlino. Da tempo esso si prepara a una dura repressione di possibili rivolte popolari: hanno adottato leggi repressive, rafforzato l’OMON e la Guardia russa, ampliato i poteri delle forze di sicurezza, annullando costantemente ogni loro responsabilità nei confronti dei cittadini. […] Questa è una realtà che affrontiamo ogni giorno e nella quale, forse, vivremo a lungo.

Secondo Yavlinsky Putin vorrebbe proseguire sulla strada già intrapresa da Eltsin nel 1993 con il bombardamento del parlamento sul modello dell’attuale autocrazia del partito comunista cinese: “ È sintomatico che, parlando delle ultime proteste, Putin abbia menzionato le sparatorie alla Casa Bianca a Mosca nel 1993. Allora per protestare contro Eltsin e le sue riforme, comunisti, nazionalisti, fascisti e altri vari dissidenti si unirono. Oggi questa analogia dalle labbra del presidente appare come un richiamo alla sua determinazione delle autorità a non fermarsi davanti a nulla”. In questo quadro la mobilitazione attraverso manifestazioni sarebbe inane e finirebbe per avere una funzione controproducente. Inoltre per Yavlsinsky Navalny non può rappresentare un’alternativa reale al regime attuale perché segnato dalla stigmate del populismo radicale:

“Quasi tutti in Russia sono convinti dell’esistenza di una corruzione gigantesca, le rivelazioni di Navalny sono percepite positivamente e la recessione economica e l’impoverimento della popolazione negli ultimi dieci anni gli hanno permesso di giocare con successo la carta propagandistica sull’aumento del divario nel livello di benessere trasformandosi in abisso (“Pace alle capanne, guerra ai palazzi!”). Inoltre, il populismo politico, che si sta trasformando in nazionalismo e, di conseguenza, sfociando spesso in scontri violenti, rappresenta oggi una pericolosa tendenza globale. La Russia qui non fa eccezione”.

Per Yavlinsky Navalny non sarebbe altro che una variante di quanto visto in altre parti del mondo con l’ascesa di Trump e Bolsonaro condita in salsa russa (o sovietica se si vuole) con l’incitamento all’odio di classe (non è passato inosservato a nessuno quanto i messaggi del blogger moscovita si siano colorati di denuncia delle diseguaglianze sociali nell’ultimo periodo): “L’istigazione del populismo di classe in Russia – sostiene ancora Yavlisnky – sta provocando uno scontro tra poveri e ricchi e non porterà a nulla di buono. Le persone in Russia stanno diventando più povere non solo a causa della corruzione. I nostri cittadini perdono incomparabilmente di più a causa della guerra in Siria e in Donbass, a causa della corsa agli armamenti e delle spese completamente illimitate e incontrollate del complesso militare-industriale, a causa delle sanzioni internazionali, in cui la Russia incorre all’infinito, ma soprattutto a causa dell’economia inefficace e costosa del capitalismo di stato (in cui le entrate sono private e le perdite sono statali). La corruzione può essere davvero sconfitta solo cambiando il sistema. Pertanto, ripeto, la vera lotta alla corruzione non è filmare le proprietà dei funzionari ladri da droni, ma una lotta politica per un nuovo Stato russo, per una nuova Costituzione, per un’Assemblea costituente”. Considerazioni non peregrine soprattutto quando si far riferimento al capitalismo di Stato russo ma segnate – dal nostro punto di vista – dall’illusione che il capitalismo liberista, oggi in crisi in tutto il globo, possa rappresentarne una panacea o un’alternativa.

Secondo Yavlinsky, inoltre “il corso di Navalny è populista e nazionalista. Più precisamente, secondo me, la sua essenza è stata formulata nel 2011 da Valeria Novodvorskaya: Navalny può diventare “il futuro leader di folle impazzite, anche con un pregiudizio nazista”. “La lotta alla corruzione”, ha sostenuto Novodvorskaya, “può portare a una soluzione bielorussa. Lukashenko ha sedotto la gente parlando dalla mattina alla sera della lotta alla corruzione. […]Anche i bolscevichi erano ai lavori forzati e Dzerzinsky rimase in prigione per 10 anni. Anche Hitler fu imprigionato. […] Se le folle seguiranno Navalny, il paese dovrà affrontare il fascismo in futuro … L’onda che sta sorgendo non è solo contro Putin. […] Sorge per il passato comunismo o per il futuro fascismo  E Navalny è uno dei potenziali leader di questa nuova distruzione” […] Da allora, nulla è cambiato affatto. Non c’è nulla di positivo nelle affermazioni di Navalny di essere coinvolto nella politica russa con le sue idee e il suo programma. Quando nel 2009 i neonazisti uccisero l’attivista per i diritti umani Stanislav Markelov e la giornalista Anastasia Baburova nel centro di Mosca, Navalny organizzava “marce russe”, che di fatto incitavano all’odio etnico e a simili tali omicidi…”

Parole queste che forse non andrebbero rivolte con tale durezza visto che alcuni fatti denunciati da Yavslinsky di esse appartengono a un passato abbastanza lontano e fosse solo per stile, nei confronti di chi sta per affrontare un periodo di detenzione e che non si sa quanto durerà e sembrano perfino dettate da invidia e dal volersi togliere dalle scarpe qualche sassolino rimasto lì incastrato dai tempi della fuoriuscita rumorosa di Navanly dal suo partito alla metà degli anni Duemila.

Tuttavia il carattere populista, ondivago del personaggio seppur evidente che lo porta ad avere simpatia a breve distanza d tempo per politici così diversi come Marine Le Pen e Bernie Sanders invita a riflettere non solo a causa sua evidente ambizione personalistica ma delle forze sociali che smuove in una fase storica incerta e tumultuosa come quella attuale. L’idea di Yavlsinsky di una fuoriuscita pacifica, controllata e istituzionale dal putinismo verso un capitalismo democratico e magari ecologista ricorda molto le illusioni dei Cadetti alla vigilia della rivoluzione di Febbraio. Il pantano economico-sociale in cui sta scivolando la Russia anno dopo anno sembra invece che necessiti, storicamente parlando, di soluzioni “forti” e “sporche” e di questo ne siano forse già convinte, da una prospettiva necolonialista, le cancellerie occidentali e in primo luogo la Casa Bianca. La fuoriuscita potrebbe essere una soluzione “alla Martov” (purtroppo oggi ancora improbabile) ma anche una “alla Pinochet”, quest’ultima perché no, benedetta da Washington e dai grandi gruppi economici internazionali pronti a mettere le mani sulle grandi risorse naturali del paese.

L’uso distorto delle nuove tecnologie, che Navalny sa sicuramente adoperare con maestria in relazione ai suoi mezzi, secondo Yavlisnky produce degli effetti sull’ordine stesso del discorso politico. “È particolarmente difficile parlare di tutto questo, perché in pratica ci troviamo di fronte a manifestazioni di problemi che vengono discussi da tutto il mondo e per i quali non è stata ancora trovata una soluzione efficace. Si tratta di interruzioni della comunicazione pubblica derivanti dalla rivoluzione dell’informazione, dalla disgregazione dello spazio dell’informazione in cluster radicalizzati, dalla formazione di “bolle” i cui abitanti letteralmente non vogliono vedere e sentire ciò che non corrisponde al loro punto di vista. La gente in Russia vuole cambiare la realtà politica, sono stanche, hanno bisogno di speranza. Navalny crea un’immagine informativa alternativa per i suoi sostenitori. Ma questa è composta non da fatti versus propaganda, non da verità versus bugie. Così, nel film sul “palazzo di Putin” l’elemento principale non è il palazzo, ma l’immagine di un Putin tremante di fronte a Navalny e alle sue rivelazioni. […] tuttavia invece sarebbe importante capire e ricordare che il sistema di Putin è molto più di una persona: non è stato Putin che ha iniziato a costruirlo e non scomparirà da solo”.

Che il problema sia sistemico e che Putin sia non il diavolo in persona la personificazione di un’organizzazione sociale, non ci piove. E non ci piove neppure sul fatto che esso mantenga ancora un certo sostegno anche se sempre più passivo. La propaganda della stampa embedded – è evidente – si basa su argomentazioni sempre più difensive viste le modestissime performances economiche, tuttavia appare allo stesso tempo – ancora più evidente – che Putin personalmente è al centro d i un equilibrio di forze e di poteri che entrerebbe rapidamente in fibrillazione se egli uscisse di scena.

E qui ancora una volta tornano in ballo i tempi e ritmi che in politica sono decisivi: dire e fare le cose al momento giusto, cosa che Yavlisnky, in oltre trent’anni di onorata carriera di politico, non è mai riuscito a fare. Per lui l’interessamento dell’Occidente per il caso Navalny sarebbe legato principalmente all’uso criminale delle armi chimiche e avrebbe in generale un approccio stereotipato e superficiale a quello che si muove sulla Moscova: “Inoltre, l’enorme clamore sorto nel mondo dopo l’avvelenamento di Navalny, ovviamente, non era collegato alla sua persona, ma a un altro sospetto uso di agenti di guerra chimica da parte russa Russia. […] Questa reazione è abbastanza comprensibile nel contesto della nuova Guerra Fredda, che è stata certamente provocata dalla Russia e da Putin personalmente”.

Una valutazione anche questa interessante se poi tutte le riflessioni di Yavlisnky non finissero per partorire solo il topolino dell’appello “voto utile” al suo partito nelle prossime elezioni alla Duma. La sua opposizione ha da tempo cessato di essere di qualche attrattiva. Il dopo Navalny forse è già iniziato ma Yavlisnky non è il futuro dell’opposizione in Russia tanto quanto non lo è stato il suo passato.

 

 

 

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