5000 morti nel Nagorno-Karabakh






DI YURII COLOMBO

La tragedia sono le persone stanno morendo. Ci sono moltissime perdite in questa guerra. Secondo i dati che la Russia ha a disposizione, da entrambe le parti ci sarebbero oltre duemila morti. Il bilancio delle vittime totale si sta già avvicinando a cinquemila”. Intervenendo alla conferenza di Valday l’altro ieri, Vladimir Putin ha fatto una prima valutazione, superpartes, delle vittime della guerra nel Nargorno-Karabakh, esplosa drammaticamente il 27 settembre tra Armenia e Azerbaigian.

Secondo le fonti dei servizi segreti russi, le vittime civili sarebbero almeno la metà del totale, mentre i feriti e mutilati sarebbero nell’ordine delle decine di migliaia.

Per avere dei punti di riferimento varrà la pena di segnalare che durante tutta la guerra sovietico-afghana i caduti russi furono 13 mila. Una vera carneficina, il cui bilancio in termini di perdite di vite umane è destinato ad aggravarsi visto che le speranze – allo stato dell’arte – di giungere a una tregua umanitaria, appaiono ridotte al lumicino. La Russia sta facendo il massimo sforzo per contenere l’incendio in Transcacausia ma la sua posizione appare oggi sfumata rispetto a due settimane fa quando aveva minacciato un intervento a fianco dell’alleato armeno. Putin ha fatto sterzare la diplomazia russa verso la “neutralità attiva”. “La Russia ha sempre avuto legami speciali con l’Armenia. Ma abbiamo sempre avuto legami speciali con l’Azerbaigian. In Russia vivono più di due milioni di armeni e circa due milioni di azerbaigiani. Miliardi di dollari – miliardi! – costoro inviano per sostenere le loro famiglie mentre lavorano in Russia. Tutte queste persone hanno legami molto stabili e stretti in Russia a livello interpersonale, d’affari, familiare. Pertanto, per noi, sia l’Armenia che l’Azerbaigian sono partner alla pari” ha dichiarato a Valday. Il timore del presidente russo non è solo quello che possa esplodere una guerra nelle guerra tra migranti dei due paesi belligeranti su suolo russo, ma anche di lasciare troppo campo alla diplomazia americana: in queste ore Mike Pompeo sta incontrando i ministri degli esteri azero e armeno e l’obiettivo Usa sarebbe quello di sganciare definitivamente Erevan da Mosca con il beneplacito di Baku. L’offensiva azero intanto prosegue, seppur incontrando sacche di resistenza significative.

L’obiettivo dell’esercito azero sarebbe quello da una parte di occupare stabilmente i corridoi tra Armenia e l’enclave a etnia armena e, attraverso costanti bombardamenti su Stepanenkert e le altre cittadine della regione, accelerare l’esodo della popolazione armena. Nikol Pashynian, il premier armeno, è da giorni sugli scudi e la sua posizione tradisce incertezza.

Due giorni fa aveva chiamato alla resistenza partigiana del suo popolo. “Ogni armeno si prepari in armi a difendere la propria patria” aveva affermato in Tv. A Mosca non hanno gradito e ieri ha dichiarato solennemente di “essere favorevole allo schieramento di una forza d’interposizione russa sotto gli auspici dell’Onu”. Si tratta della proposta di Sergey Lavov fatta una settimana fa ma rigettata senza troppi complimenti dal governo turco. L’idea di Mosca era quella di giocare nell’evidente muro contro muro tra Francia e Turchia, per diventare ancora una volta uno dei pivot della crisi come in Libia. Ma in questo caso sembra che Erdogan voglia prendersi l’intera posta concedendo solo una “chip” a Putin. “Apprezziamo lo sforzo diplomatico russo ma per noi la questione è chiara: il Nagorno-Karabakh deve tornare ad essere azero” ha dichiarato il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu.

Apparso su Il Manifesto il 24 ottobre 2020

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